Capitolo 48 (II). Un sogno che si avvera

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Non avrebbero navigato nell'oro anche per un altro motivo, più legato alle decisioni familiari: Anna voleva tentare di avere un figlio appena entrata come specializzanda, perché così sarebbe potuta poi entrare in maternità, anche se avrebbe poi dovuto scontare il tempo perso alla fine della specializzazione. Marco e Anna vedevano l'inizio del loro matrimonio non quindi solo come l'inizio della loro vita a due, finalmente conviventi nello stesso letto, ma anche l'inizio di una loro famiglia, con figli; almeno uno subito e poi. . . si sarebbe visto. Ne avevano già parlato, ma ne riparlarono nelle settimane precedenti la cerimonia. Marco — come al solito — lasciò la decisione alla fidanzata, con il suo spirito razionale commentò solamente:

«Ah, micia, per me va bene, ho visto che essere zio di Emanuele mi piace molto, con i bambini vado d'accordo. La casa ha una cameretta in più, soldi ne abbiamo, ho il posto fisso. Ho ventisette anni, Andrea è rimasto padre a ventotto, forse altri miei colleghi diventano padri più avanti, ma è anche vero che tu hai la mia età, per una donna è diverso. Facciamolo sì. . . mia mamma diventerà nonna giovane, a meno di 50 anni. . . »

E Anna gli rispose:

«Gattino guarda che poi probabilmente dovrai guardarlo più tu che io. . . una volta finita la maternità tu sei quello con il lavoro più stabile e con orari fissi, io lo faccio perché voglio essere mamma, ma poi dovrò ritornare a scuola e un domani farò comunque un lavoro con turni e notti; ti toccherà andarlo a portare e prendere all'asilo, pediatra, scuola eccetera, preparati gattino mio.»

Marco sorrise:

«Ah micia, io mi ci vedo; dai, guardami un po': non sono mai stato molto virile, forse fare il "mammo" mi si addice; so cucinare meglio di te, non dico fare grandi cose ma rispetto all'inizio mangiamo molto meglio, il bucato lo faccio sempre io, talvolta lavo anche le cose tue; in questi tre anni che ho vissuto quasi da solo ho sempre pulito casa, ho imparato anche a stirare: mi manca solo un bimbo a questo punto. Non so neppure cosa preferire, se un maschio o una femmina, son belli entrambi, quel che viene viene. Alla fine non posso neppure sapere come mi comporterò una volta padre ma. . . quel che è certo è che non voglio essere come il mio.»

Quello del non essere come suo padre Anna lo sentì ripetuto in quel periodo tante volte, non solo nei discorsi genitoriali, ma anche quando, talvolta, parlavano immaginando la loro futura vita a due egli quasi sempre aggiungeva: «sì. . . io non farò come mio padre con mia mamma, micia. Sarò diverso». Diventò in quel periodo un suo enunciato quasi ossessivo, che entrava dappertutto: immaginando e pianificando la loro gestione economica, familiare, genitoriale, anche religiosa (Anna aveva già pensato a presentarsi al nuovo parroco subito al ritorno dal viaggio di nozze e di cominciare a seguire messa nella nuova parrocchia e partecipare alla vita parrocchiale insieme), la vita di tutti i giorni, insomma, Marco le ripeteva spesso: «micia, andrà tutto bene, non sarò come mio padre. . . »

«Ma certo gattino; io non ho mai conosciuto tuo papà, ma so che non è stato un buon papà per te; tu sarai diverso, lo so; ti ho visto in questi anni con Emanuele, sei un bravissimo zio, sarai anche un perfetto marito e un bravo papà. Solo che. . . »

Anna in quei momenti aveva anch'ella una piccola ombra, un momento passeggero di sconforto, perché era ben visibile in Marco la lotta per non esser come suo padre ma. . . nello stesso tempo era ben visibile l'attrazione del carattere da cui si allontanava; e in questa lotta egli perdeva una parte di sé. Nella presa di distanza per non essere violento perdeva la capacità di difesa e di autodifesa. Nella presa di distanza dal padre che perdeva il controllo con l'alcool egli era diventato un perfetto abitudinario, in cui le cose erano ordinate e catalogate, i tempi rispettati, le dosi pesate, le regole, principalmente quelle auto imposte, fisse, senza possibilità di sgarri. E, infine, nella presa di distanza per non tradirla, egli stava perdendo la spontaneità dell'amore perché era come se si stesse sforzando di dire "sarò fedele" senza la spontaneità dell'esserlo, come se avesse bisogno di imporselo; Marco sembrava che volesse fare il marito fedele, ma lo era anche? Qual era il vero Marco, dunque, che si stava per sposare? Anna aveva posato la forchetta, anche Marco smise di mangiare, le prese la mano.

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Where stories live. Discover now