Capitolo 49 (III). La lenta discesa

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«Peffavore. . . zio Macco», Emanuele le fece l'eco senza alzare la testa, mentre finiva di colorare il camion, Ilaria continuò a guardarlo speranzosa, avrebbe desiderato averlo ancora qualche giorno per sé, da soli, senza più pensieri di Andrea, Silvia, Anna, come un tempo, come dieci anni prima. Solo loro due ed Emanuele, come in un sogno irrealizzato.

«Eh. . . sì Ili» Marco rivide con l'occhio della mente il monte Marzano, ma soprattutto rivide la casa di zia Maria, le stanze al piano di sopra con quelle porte un po' scrostate, le sedie di paglia, l'odore del caciocavallo appeso a stagionare, il sapore di quelle uova di fattoria bollite al mattino presto, «non te lo prometto. . . ne parlo con Anna, è incinta, sì, ma di poco, sta bene, potrebbe stare dai suoi a Pasqua; credo che. . . sì, si possa fare. . . », «O Marco mio! Grazie!», gli gettò le braccia al collo, «sapevo che non mi lasciavi sola. . . », a Marco sembrò che fosse più contenta di quel che il suo "sì" avrebbe potuto generare, se fosse stato più attento nei mesi precedenti avrebbe capito che Ilaria cominciava a sentire la solitudine: «anche a me Ili farebbe piacere tornare giù, vedere tua mamma, il paese, la gente, Ghemon. . . »

«Ghemon! Bau! Emauele gioca Gheon! Gheon bavo! Bavo Emauele.»

«Sì tesoro, andremo da Ghemon, così giochi con lui», disse Ilaria e poi, sapendo che Marco doveva tornare a casa a cucinare anche per Anna che tornava dal turno del mattino, si staccò dall'abbraccio e gli chiese: «vuoi un po' di sugo Marco mio? Ne ho fatto un po' di più. Così ce l'hai già pronto per Anna», Marco le sorrise, contento anche di questa offerta, la cucina di Ilaria gli dava sempre un sapore di casa, per averla assaggiata praticamente per tutti gli anni dell'università quando gli preparava il pranzo, «va bene Ili, lo accetto, ma poco, non stare a disturbarti», Ilaria gli strinse per l'ultima volta la mano, «nessun disturbo Marco mio, sai che lo faccio con amore. . . », si alzò, andò nel cucinino, prese un barattolo di plastica e cominciò a riempirlo.

«Allora. . . Ili è sistemato così per la casa», disse Marco, quasi a sé stesso, come riassunto, «bene, Emanuele», si rivolse al nipote che — chissà perché — aveva cominciato a disegnare dei fiori attorno al camion, forse perché si ricordava dei prati di Colliano, «così avrai la tua cameretta, quella che era mia. Ti piacerà; sarà un po' usata, ma è ben tenuta.»

Emanuele rimase per un poco in silenzio a colorare, come se stesse meditando sulla cosa che aveva detto lo zio, poi, all'improvviso, chiese: «zio Macco. . . ? Emauele came'etta mamma Iaia papà?»

Marco subito non capì, chiese a Ilaria:

«Ili, che. . . che dice?»

Ilaria non pensava che Emanuele dicesse quello di fronte a Marco. Stava versando il sugo pronto in altri contenitori di plastica, alcuni da congelare per averlo pronto durante la settimana. Ebbe paura a rispondergli, cominciò a tremare, non aveva mai detto a Marco di questi discorsi del figlio, «Marco mio. . . , a volte. . . », stette in silenzio, sperando che cambiasse discorso, ma Emanuele insistette:

«Zio Macco. . . came'etta papà mamma Iaia?»

«Cameretta Emanuele, vuoi dire? Avrai la tua cameretta? Sì, Emanuele, appena zia Irene va via avrai la tua cameretta.»

«Zia Ilene. . . came'etta papà?»

«Sì Emanuele, hai già la cameretta con papà, avrai anche quella con mamma. Avrai due camerette.»

«Came'etta papà mamma Iaia voio.»

Ilaria gli andò vicino, poggiò il contenitore da dare a Marco sul tavolo e poi si sedette a fianco a lui, triste; Marco la vide sofferente, «Ili che c'è?», ella lo abbracciò di nuovo, ma questa volta non per la gioia e gli disse:

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Where stories live. Discover now