13 - ASTRA (1)

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Francesca era stesa sul letto a pancia in giù. Aveva il lato destro della faccia appoggiato sul cuscino e guardava verso la finestra, senza in realtà vederla veramente. Aveva smesso di piangere da poco e aveva gli occhi rossi e gonfi. Si era pentita delle sue parole non appena Fabio aveva richiuso la porta, portandosi via il suo uomo, e si era buttata sul letto, singhiozzando come non le capitava da molto tempo.

Era a capo dell'abbazia da otto anni, da quando cioè, era morta sua mamma, e di conseguenza, quel posto era diventata la sua casa. Era un lavoro molto impegnativo perché, oltre a dover gestire le guardie, i loro turni, le loro problematiche e ovviamente i prigionieri, bisognava impegnarsi quotidianamente nelle questioni burocratiche che erano alquanto opprimenti. Tenere segreto un posto del genere e le attività che si svolgevano all'interno, comportava una monumentale dose di incartamenti, mail, messaggi, telefonate. E soprattutto soldi, spesi principalmente per ottenere e mantenere il silenzio. Per prelevare un carcerato dalla prigione in cui scontava la pena e farlo sparire letteralmente nel nulla, c'era assoluto bisogno di un aggancio. Per farlo con più carcerati, l'aggancio doveva essere molto in alto. Così sua mamma, sfruttando il suo forte carisma e le conoscenze che aveva avuto il marito quando ancora era in vita, si era rivolta all'allora ministro della difesa, grande amico del suo defunto consorte. L'uomo aveva spalancato gli occhi e la bocca quando la donna gli aveva comunicato cosa aveva intenzione di fare e cosa le serviva, e le aveva riferito che lui non poteva appoggiare una simile impresa. Ne andava del suo lavoro, del suo onore, della sua credibilità e di quella del paese. A quel punto lei aveva lanciato una busta gonfia di banconote sul tavolino, dicendogli che, se avesse perso l'onore, forse lo avrebbe potuto ritrovare dentro a quella busta. Quel giorno strinsero un patto che veniva rinnovato ogni anno con una nuova bustarella. Quando gli comunicava un nuovo nome, lui si faceva carico del trasferimento e se il direttore del carcere in questione faceva troppe domande, lei interveniva e lo convinceva a rinunciare alla sua curiosità. Quando il ministro finì il suo mandato tramandò il segreto al suo successore, facendogli capire l'importanza di continuare a mantenere l'assoluto riserbo sulla questione. La donna continuava a pagare per il servizio ma, inconsapevolmente, aveva impugnato il coltello dalla parte del manico. Se una tale notizia fosse stata rivelata, si sarebbe scatenato un putiferio di dimensioni epocali che avrebbe coinvolto oltre il ministro stesso (perseguibile penalmente per favoreggiamento, tra le altre cose) anche l'intero governo. Per non parlare poi delle conseguenze morali che avrebbero dovuto affrontare con la Chiesa. Per cui, tra mazzette, favori e ammiccamenti, la cosa andava avanti da più di quarant'anni.

Per non intaccare troppo il patrimonio famigliare, sostenuto dalle ricche ma non infinite rendite di una ventina di immobili sparsi per l'Italia, la madre di Francesca, sempre con l'aiuto del ministro, aveva cercato e trovato persone molto facoltose, disposte a spendere denaro a fondo perduto per quella nobile, a suo parere, causa. E per proteggere l'anonimato che era riuscita a creare, si era rivolta ai famigliari delle vittime degli uomini che lei riteneva "idonei" a essere ospitati nella sua struttura. Ovviamente, solo i famigliari che avevano un certo sostentamento. Con queste scremature, nel mazzo restavano poche carte, ma carte buone. Riuscì ad agganciarne ben tre, estremamente facoltosi, con cui fece sfoggio di tutta la sua arte oratoria, ma che riuscì a convincere molto in fretta. Accettarono con entusiasmo. Quando Francesca prese le redini del comando erano sei le famiglie coinvolte e un'altra riuscì a convincerla lei stessa: una donna, a cui, circa cinque anni prima, avevano ammazzato marito e figlia in una chiesa.

A differenza dalla madre che, per passare del tempo con la sua bambina, le sere e le notti le passava a casa, Francesca si trasferì nell'abbazia in pianta stabile. Conviveva con un uomo da due anni, ovviamente all'oscuro del terribile segreto di famiglia, ma per non correre il rischio che venisse a scoprirlo, lo lasciò. Resistette un anno, poi cedette a ciò a cui non avrebbe dovuto cedere. Amava fare sesso e la mancanza era diventata insopportabile. Aveva ricevuto delle ridicole e impacciate avances da Masi, assurdamente in contrasto con il suo aspetto e la sua personalità. Vedere quella faccia spigolosa arrossire, mentre balbettava patetiche frasi d'approccio da quelle labbra sottili, l'aveva reso, ai suoi occhi, ancor meno appetibile di quanto non fosse prima. Aveva educatamente rifiutato, cercando di dipingersi il sorriso più di circostanza che potesse fare, disgustata in realtà all'idea di trovarsi nuda in un letto con quell'uomo. Eseguiva gli ordini impeccabilmente, mettendoci talvolta quel filo di cattiveria in più a cui lei non arrivava. Questo voleva da lui! Non altro. Ma l'espressione che aveva avuto dopo aver incassato il rifiuto, a Francesca non piacque. Ne fu, in qualche modo, spaventata. Evidentemente, Pietro Masi non era un uomo abituato a ricevere dei no. Ma non aveva detto niente. L'aveva salutata ed era uscito dall'ufficio, continuando a svolgere il proprio lavoro nella solita, corretta, spietata maniera. Per questo motivo, quando nel suo letto entrò per la prima volta un ergastolano, si premurò che lui non lo venisse a sapere. Scelse la guardia che reputava più adatta a mantenere quel segreto, un uomo, suo coetaneo, con la pancia da bevitore di birra, che pareva uno dei più tranquilli. E, controvoglia, dovette metter a parte del fatto anche René, che aveva dimostrato più volte di essere sveglio, più di quello che voleva far credere. Avrebbe visto con regolarità lo stesso prigioniero essere condotto nel suo ufficio, di sera, e avrebbe capito. Usando tutta la sua autorità li avvertì che il tradimento sarebbe stato punito duramente, neanche potevano immaginare quanto. E sorrideva, mentre lo diceva. Contro ogni previsione René sembrò quasi dimenticarsene. La guardia invece, fece la brava solo per un anno. Un pomeriggio, finito il proprio turno di lavoro, bussò alla sua porta, informandola che aveva intenzione di spifferare tutto a Masi, a meno che lei non fosse disposta a mostrare anche a lui, quello che mostrava all'avanzo di galera che ospitava nel suo letto. Francesca rimase di sasso! Ma fece buon viso a cattivo gioco. «Domani sera c'è una consegna da fare. La mia Astra e i suoi compagni hanno fame e RG339 non può più lavorare. Tu e Masi farete gli straordinari. Quando lui se ne sarà andato a casa, vieni qui, da me.» gli disse, facendo l'occhiolino.

VuEffe (parte 2) - L'abbaziaWhere stories live. Discover now