16 - LA FORTEZZA DELLE SCIENZE (2)

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Franco de Simone era su una sedia a rotelle, di spalle, rivolto verso la vetrata che guardava le gole da cui erano giunti col treno, con la rimessa a disturbarne la vista. Aveva un cespuglio di capelli ricci bianchi, compatto, di quelli in cui è bello appoggiarci una mano sopra per gustarne la morbidezza, e uno scialle a losanghe appoggiato sulle spalle, curve in avanti. «Come sono morti?» chiese, non appena entrarono, senza voltarsi.

Alberto rimase spiazzato e lì per lì non rispose nulla. Monica gli diede una gomitata, invitandolo a parlare. «Come scusi?» fu quello che gli uscì di bocca.

«Come sono morti?» ripeté il vecchio. «Fabio e... NC!» Nella sua voce si percepiva delusione e, forse, anche qualcosa di più.

«Ah... Beh... Fabio, la guardia...» balbettò inizialmente, palesemente imbarazzato. «Credo sia stato attaccato da un branco di lupi, ma, ecco, non lo so con certezza. Ci siamo separati a un certo punto. Voleva attirare le guardie su di lui per permettere che ci allontanassimo il più possibile. Ma era vivo l'ultima volta che l'abbiamo visto.» disse tutto d'un fiato, come per togliersi il peso di quella poco piacevole conversazione.

«Caro ragazzo! Mi spiace davvero tanto.» mormorò Franco, con la testa chinata verso il basso. Nonostante non lo vedesse in faccia, Alberto era quasi certo che stesse piangendo. «E l'altro?» disse poi risollevandosi, con lo sguardo sempre fisso sulla vetrata.

«Un orso!» Il ricordo faceva sempre male al suo cuore. «Ci siamo fermati a riposare in una legnaia. Io dormivo e lui faceva la guardia. Non lo so... Forse ha sentito dei rumori, è uscito a controllare ed è stato attaccato. Mi hanno svegliato le sue urla. Povero amico mio!» Sentiva le lacrime spingere prepotentemente per sgorgare dai suoi occhi.

Il vecchio rimase in silenzio per un po'. Poi riabbassò il capo, poggiandolo sulla mano destra. «Che disastro! È finita, è finita! Come faremo quando arriverà?»

Alberto non capiva di cosa stesse parlando e guardò Monica che stava scuotendo la testa. «Signore, NC... aveva una figlia?» continuava a ritenere assurdo non sapere ancora il nome di quell'uomo. «Sa dove posso rintracciarla. Voleva rivederla e dirle che era dispiaciuto per tutto... gli ho promesso che l'avrei fatto, prima che morisse.»

La testa di Franco si sollevò all'improvviso e la sedia si girò, agilmente. Due occhi di un azzurro molto intenso, incastonati in un paio di occhialini tondi con la montatura bianca, si fissarono su di lui. Alberto rimase un momento senza fiato. Lo sguardo era tale e quale quello di Francesca e, per un attimo, si perse nei ricordi più dolci. La voce del vecchio lo riportò subito alla realtà. «Eri con lui quando è morto?» Nella sua voce la pesantezza della delusione percepita poco prima era sparita e le parole ora sembravano galleggiare, come palloncini.

«Beh... Stavamo scappando insieme. Pensavo fosse chiaro che...»

«No, no! Intendo proprio mentre moriva, nel momento esatto in cui è spirato...»

«Sì. È morto davanti a me.» E due lacrime scesero sulle guance. «Sono riuscito a far scappare l'orso, per miracolo, ma l'aveva ormai ridotto troppo male.»

«Buon Dio! Credevo l'avessi ritrovato già cadavere!» Poi si rivolse a Monica e Alberto si accorse, con fastidiosa sorpresa, che stava sorridendo. «Vedi che ho fatto bene a farne uscire due!»

«Certo, certo. Si ricordi che deve fare i suoi esercizi tra poco e alle due deve partire. Vi lascio. Vado a preparare il pranzo.» e scoccando il suo sguardo indagatore a entrambi, uscì.

Alberto, piuttosto stranito dalla situazione paradossale in cui era finito, si ritrovò le mani nelle sue.

«Cosa hai fatto alla mano?»

VuEffe (parte 2) - L'abbaziaМесто, где живут истории. Откройте их для себя