15 - IL PONTE (2)

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Masi quasi correva, continuando a imprecare e sostenere a male parole Karl ed Enrico che faticavano a stargli dietro. Di una cosa era certo: se AR396 era ancora vivo, lo stavano raggiungendo. «Forza lumaconi! Che cazzo di uomini siete!» gridava. In mezzo alla neve c'era un piccolo oggetto nero; si fermò e lo raccolse. Era una borraccia, vuota e abbandonata. "Arrivo AR396, arrivo." pensò, con un ghigno distorto che gli deformava la faccia.

Le due guardie, visto il loro capitano fermo, ne approfittarono per riprendere fiato, una decina di metri più indietro. Erano entrambi piegati in avanti, con le mani sulle gambe, uno di fronte all'altro. Enrico dava le spalle alle montagne e guardava il suo collega scuotendo la testa. In quel momento, dagli alberi dietro di lui, sbucò l'orso. Digrignava i denti ed emetteva un rauco e continuo ringhio sommesso, mentre a grandi falcate, copriva la poca distanza che lo separava da loro. Masi girò d'istinto la testa, mentre Karl alzava la sua, nello stesso istante che l'animale si fiondava sulla schiena di Enrico facendolo stramazzare al suolo con un urlo di terrore. Lo azzannò al collo e tirò, strappandone via metà. Karl, sbiancato dalla paura, indietreggiò di qualche passo, armeggiando con la mano sul pomello dello sfollagente.

«Sparagli coglione!» La voce di Masi sembrava provenire da un altro pianeta, mentre pietrificato osservava il suo amico urlare, straziato dai morsi e dagli artigli della bestia. Non sentì nemmeno partire il colpo, ma d'improvviso vide l'orso lanciare un guaito, assolutamente incompatibile con la mole di pelo e grasso che mostrava. Fece un balzo all'indietro e ruggì verso la pistola puntata su di lui. Masi sparò ancora, centrandolo nel fianco. L'orso ansimò e abbassò la testa, come se facesse un inchino a chi gli stava dando la morte. Il capitano fece tre passi in avanti, l'orso emise due grugniti di dolore, poi si girò e si allontanò claudicante.

«Spari capitano, ucida lui!» esortava Karl, ripresosi dallo shock.

Ma Masi rinfoderò la pistola. «Lasciamolo riflettere sulle sue azioni, mentre muore dissanguato.» pronunciò, col solito ghigno a incorniciargli la faccia. Rivolse uno sprezzante sguardo a Enrico, immobile, riverso a pancia in giù con la schiena completamente smembrata. Lo girò col piede e lo fissò negli occhi per alcuni secondi. «Muoviamoci, su!» disse poi e si rimise in cammino.


Il sole aveva ormai scacciato dal cielo ogni residuo della notte e Alberto poté chiaramente vedere le montagne interrompersi e continuare aldilà del fiume. Si fermò, recuperò un po' di fiato e bevve l'ultimo sorso d'acqua rimasto, gettando anche quella borraccia nella neve. Erano le 7.22 ed era stato bravo. Si girò a contemplare tutta la strada che aveva percorso, a fatica, braccato dai lupi, da un orso e, forse, da un gruppo di guardie. La lunga striscia bianca di neve si srotolava dietro di lui, risalendo leggermente fino al bosco, che era ormai solamente una macchia scura in lontananza. Con una fitta al cuore pensò al suo amico che, probabilmente, giaceva ancora vicino alla catasta di legna, desiderando che fosse lì con lui, adesso che ce l'aveva quasi fatta. Inevitabilmente, il pensiero si posò subito su Francesca e sul suo viso che gli mancava da morire. Strinse gli occhi e cercò di concentrare ogni diottria su due piccoli punti neri che parevano muoversi, a parecchia distanza da lì. Erano sicuramente due uomini; non poteva distinguerli bene, ma il panico che lo investì non poteva essere frainteso. Era seguito.

Lo sciabordio dell'acqua che scendeva a valle era il rumore predominante; il fiume si nascondeva ancora dietro agli alberi, ma Alberto era ormai solo a duecento metri dal punto dove, finalmente, le due rive mostravano com'erano fatte, uscendo dal bosco con una secca curva a novanta gradi. Coprì in fretta il breve tratto, col cuore che martellava di emozione e paura.

La gola in cui il fiume si infilava era angusta e completamente all'ombra, compressa tra due alti crostoni di roccia collegati da un ponte di legno, attraversato da una striscia di binari che sbucava, sia da un lato che dall'altro, da due gallerie. L'acqua del fiume, complice un piccolo dislivello del letto proprio all'imbocco della gola, sciabordava in maniera impetuosa in una cascatella che, tra schiuma e bolle, provocava leggere onde che parevano essere in gara tra loro per arrivare prima a infrangersi. Il fragore, proiettato in alto, rimbalzava tra i due fianchi di roccia, creando un'eco continua e assordante.

VuEffe (parte 2) - L'abbaziaWhere stories live. Discover now