17 - LO SCRIGNO E IL CUSTODE (2)

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Alberto staccò gli occhi dal libro. La pioggia aveva smesso di cadere, chissà da quanto, ma fuori l'oscurità era totale. Si allungò, con attenzione, e prese l'orologio appoggiato sul comodino. Erano quasi le diciotto e trenta. Era stato completamente catturato dalle parole che aveva letto e, come Augusto, forse grazie a lui, era come se avesse vissuto tutto in prima persona.

Credeva a quello che aveva appena letto? Si fece questa domanda, subito. Una parte di lui, forse la maggiore, no. Come poteva essere? Donne che cadono dal cielo, che invecchiano in un attimo, energie che si spostano, che creano vita, mondi lontani... e chi più ne ha più ne metta. Sembrava un ingegnoso e ben architettato (forse nemmeno quello, a dirla tutta), lavoro di fantasia. Però, perché? Qual era lo scopo di inventarsi una roba simile? Perché Franco avrebbe rischiato sé stesso e tutto quello che aveva per liberare degli ergastolani, solo per propinare una storia assurda e sconclusionata? Questo non aveva molto senso, in effetti. "Fai lo sforzo di credere. Quello che leggerai è successo veramente!". Le parole del vecchio echeggiavano nelle sue orecchie. Sembrava sincero e, sia il suo volto, sia la fama che lo precedeva suggerivano che lo fosse sul serio. "E poi l'hai appena vissuto in prima persona. Hai visto con i tuoi occhi quella donna. Hai sentito con le tue orecchie quello che ha detto." La piccola parte che aveva deciso di credere lo pungolava, subdolamente. Ma appassionarsi a un racconto ben scritto, immedesimarsi con il personaggio, non è che volesse proprio dire che ciò che si aveva letto fosse vero. Doveva riconoscere, comunque, che la lettura gli aveva lasciato un certo senso di inquietudine addosso. Aveva molti dubbi a riguardo e sperava fossero dubbi fondati.

Voltò l'ultima pagina. Nel retro c'era un elenco di nomi e date: custodi e scrigni. Augusto, a quanto pareva, aveva svolto bene il suo presunto compito e lo stesso aveva fatto chi era venuto dopo. Lesse l'ultimo nome scritto a fianco di "custode":

FRANCO DE SIMONE

Certo. Aveva senso.

Scorse poi i nomi degli scrigni, nomi ovviamente senza alcun senso per lui, ma rimase ancora più perplesso dalle ultime due righe:

NICOLAS (guar.)

I 9

Qualcuno bussò alla porta.

«Alberto... Sei sveglio?»

«Sì»

«Tra quarantacinque minuti è pronta la cena.»

«Grazie Monica. Ci sarò.»

«Vorrei ben vedere...» Ridacchiava, mentre si allontanava.

Gli piaceva quella donna. Era sorprendentemente ironica e divertente. Anche se suggeriva una certa, attenta cautela, grande pregio in una persona secondo lui, perché non ti permetteva mai di abbassare la guardia. E lui, nella sua situazione, non poteva farlo. Capiva il perché Franco se la tenesse ben stretta.

Chiuse il libro, lo mollò sul letto e si mise a guardare la finestra. C'era un pensiero fisso nella sua mente, che non si spostava. «Devo parlare al più presto col vecchio.»


Il telefono di Franco de Simone era squillato quel pomeriggio, mentre lui era stancamente attaccato alla macchina per la dialisi, in una stanza dell'ospedale. Sapeva chi fosse ancor prima di leggere il nome sul display. «Ciao Francesca.» rispose, con la voce affaticata.

La telefonata era stata breve. Lei aveva chiamato solo per comunicargli che Fabio Santini aveva aiutato alcuni prigionieri a fuggire e che era stato ritrovato morto nel bosco, sbranato da un branco di lupi. Ovviamente lui lo sapeva già, ma reagì commuovendosi, piangendo lacrime sincere, senza sforzarsi troppo per essere credibile, perché voleva bene al ragazzo e si sentiva responsabile dell'accaduto. «E gli altri due che fine hanno fatto?» aveva domandato. Lei aveva risposto che uno sembrava avercela fatta, per il momento. L'altro era finito più o meno come il ragazzo. Lui le aveva chiesto se potesse fare qualcosa per aiutarla.

VuEffe (parte 2) - L'abbaziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora