[ I ] ↬ fogli bianchi

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"Disegnare un mondo perfetto
per scoprire alla fine
di non avere il colore"

Il viso sbiadito, colorato di gelidi fiocchi di neve, lo sguardo spento che custodiva nei suoi meandri una galassia d'inchiostro: un'altra giornata come tante, un altro anello costituente una catena che gira sempre allo stesso modo.

I suoi occhi erano stanchi, occhiaie violacee li incorniciavano e lasciavano che l'oscurità splendesse in essi.

Le sue labbra erano candide, petali di rosa bianca, che forse un tempo era stata di un altro colore, e nonostante il suo corpo venisse logorato dall'interno ogni giorno con più violenza si incurvavano dando vita a un sorriso che emanava calma, calore. Proprio come fanno le rose quando lasciano scorrere intorno al loro fragile stelo, e alla loro corona di petali, un dolce e intrigante profumo.

Quel sorriso tranquillo sembrava sovrastare la smorfia di sofferenza che nascondeva il suo volto, il quale diveniva man mano meno luminoso.

Infondo, anche la neve si scioglie prima o poi.

Guardò in direzione della finestra, i fiochi raggi di sole invernali penetravano attraverso il castano delle tapparelle: eleganti linee biancastre accarezzavano la sua bellezza, posandosi dolcemente sulle efelidi che gli macchiavano le gote e il piccolo naso all'insù, come a voler evidenziare quei lineamenti angelici e ammirare quella manciata di costellazioni che punteggiavano il suo volto. Lisce ciocche dorate pendevano sulla sua fronte e davano luce al visino opaco, contornandolo fino al collo e scivolando sulla sua pelle chiara, solleticandola lievemente.

E ancora una volta sorrideva, sorrideva come se quella stanza grigia fosse la più bella villa, come se tutti quei fili uniti ai monitor che tenevano il suo corpo imprigionato fossero gioielli preziosi, come chi ha la certezza che tutte le meraviglie del mondo fossero eterne.

Posò la penna sul foglio, osservando i batuffoli bianchi che giocavano a rincorrersi nel cielo: si chiedeva dove andassero, si chiedeva se avesse mai visto due volte la stessa nuvola in momenti diversi, si chiedeva cosa si provava ad essere così in alto e sapeva che presto quello sarebbe stato il suo posto. O forse non lo sapeva, e se lo chiedeva più spesso di quanto potesse rendersene conto: cosa c'è dopo la morte?

L'inchiostro nero iniziò a intrecciarsi sulla carta, contrastando la purezza del bianco e sfidandola a tratti, mente quei segni sparsi davano vita a tante parole; ognuna di esse racchiudeva un piccolo grande mondo.

La mano tremava, incerta, ma lui continuava a scrivere. La carta profumava di vita, e quel profumo si mescolava con l'odore di morte che c'era in quell'ospedale.

Ad un tratto sentì pessi svelti e affranti, affannati, pensierosi. Li seguì un cigolio: ancora nessuno aveva aggiustato la porta. Non sentì la necessità di girarsi, aveva già ricollegato quella fretta al proprietario di quella disperata corsa, quando il corpo era appena arrivato all'uscio.
Continuando a scrivere sussurrò piano: «Non c'era bisogno corressi, io sono sempre qui, non scappo mica.»
La sua voce era rauca, così tanto da creare un ossimoro se messa a confronto col suo viso delicato.

«E anche se volessi scappare, con tutti questi fili pensi che ci riuscirei? Mi tengono costretto qui quasi quanto mi trattiene l'aspettare te».

L'altra sagoma non si mosse dalla porta, portandosi le mani sulle ginocchia e cercando di recuperare fiato. Il suo corpo era tinto da stanchezza e agitazione, e la pelle era umida, imbevuta di sudore. Nonostante questo manteneva il suo profumo, delicato e intenso al punto giusto, che ricordava un po' quello della natura lì fuori. Nessuna pianta nello specifico, faceva semplicemente arrivare fino al cuore quella freschezza di un prato verde dopo una pioggia estiva.

I suoi capelli, neri come una stanza buia che ti costringe a rimanere da solo con te stesso, erano legati in una mezza coda al centro della nuca. Cadevano però sparsi sulle tempie e sul dorso, disordinati. Le labbra rosse e carnose continuavano a schiudersi piano per cercare aria, e il suo viso perlato era sfumato da rose rosse a causa dello sforzo.

Il nero dei suoi occhi a mandorla sembrò quasi sfiorare l'altra persona nella stanza, la cui presenza cambiava l'aspetto di quel posto orribile nella sua totalità. Gli sembrava impossibile che solo una persona potesse illuminare uno spazio così ostile, più di quanto potessero farlo mille candele.

Lo guardò intensamente negli occhi, come a cercare di scavare nelle sue iridi ricavare qualche informazione su come stesse davvero, poi trovò abbastanza forza in un altro respiro, tanta da riuscire a parlargli. «Sono felice di rivederti».

Hwang Hyunjin non era uno di quei ragazzi come ce ne sono a bizzeffe, di quelli che danno tutto per scontato, che si svegliano al mattino e neanche guardano il sole, che camminano sotto a un cielo stellato e non alzano gli occhi, che non cercano il significato nelle piccole cose o addirittura lo ignorano.

No, Hyunjin non era così, e Felix lo sapeva bene.
Lui non dava per scontato nulla, soprattutto la sua esistenza. Forse era l'unico che, nel profondo, aveva l'amara e crudele consapevolezza che davvero un giorno, da un momento all'altro, avrebbe aperto quella porta e quella stanza non avrebbe avuto più alcuna luce.

Quel giorno sarebbe arrivato, e non importa se fosse stato d'estate o d'inverno, con quaranta gradi o con un acquazzone, con una luce angosciante o con un buio accecante: tutto sarebbe stato grigio e privo di senso.

Le coperte di quel letto sarebbero rimaste sfatte, e poi sostituite, come la notte col giorno, senza poter replicare il calore che c'è.
Le penne sarebbero rimaste lì finché qualcuno non si sarebbe deciso a metterle via, e quel qualcuno non sarebbe potuto essere Felix.
Alcuni fogli sarebbero rimasti testimonianza indelebile dei pensieri di un angelo, prova che il paradiso esiste. Un altro tra quelli invece, triste e insensato, sarebbe rimasto scritto a metà. Ma la parte peggiore era riservata a tanti altri fogli, quelli che sarebbero rimasti eternamente bianchi: incompleti, inesistenti, senza la minima ragion d'essere.

E Hyunjin sapeva che, prima o poi, sarebbe stato anche lui parte di quei fogli.

"E tieni stretti
i pugni dentro le maniche
ed il tuo libro
perde sempre più pagine"

"E tieni stretti i pugni dentro le maniche ed il tuo libro  perde sempre più pagine"

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| Silenzio || Hyunlix |Where stories live. Discover now