[ II ] ↬ pioggia e ciobar

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“Step out of them voices,  
Break free from   
the voices in my head” 

La pioggia batteva forte sui vetri delle finestre, prepotente e avara, e ad ogni colpo trionfante sembrava voler sottolineare che il mondo era inerme e moribondo sotto ogni trascurabile goccia: innocue lacrime delle nubi distruggevano il suolo e la flora che gli faceva da manto, proteggendolo con dolcezza, accarezzandolo.

Il rumore delle piccole gocce, che si susseguivano per schiantarsi finalmente sull'asfalto, ricordava una atmosfera tranquilla, interrotta bruscamente - di tanto in tanto - da tuoni imponenti.

Sembrava quasi lo stesso suono che emettevano le povere foglie, quando stanche e distrutte coloravano il tragitto grigio e venivano pestate da suole piene di fango e dalle zampe di animali randagi, quelli in cerca di un rifugio dal vento.

A tratti sembrava anche un piccolo ruscello nella natura, con un filo d'acqua che si faceva spazio tra le rocce e scorreva dando vita a un'atmosfera tranquilla, corrodendole lentamente, senza che nessuno potesse accorgersene sul momento.

Allo stesso tempo, ricordava quei freddi pomeriggi di fine autunno, col sole che gioca a nascondino tra i monti insieme alle stelle, e il profumo della cioccolata calda sui fornelli, che attende di rendere il mondo più dolce, con il rumore dei vinili che giravano velocemente nel giradischi prima di essere accompagnati da qualche dolce canzone.

Il ragazzo dai capelli corvini se ne stava accovacciato sulla sedia, che si affacciava sulla piccola scrivania nella stanza gelida, portandosi le ginocchia al petto e tenendo il mento su esse.

Lo sguardo privo di luce sembrava voler afferrare i libri che si trovavano sulla scrivania, per strapparli in mille pezzi e renderli i coriandoli di un tetro carnevale già morto, che dava più l'idea del mercoledì successivo.
I suoi occhi continuavano a perdersi tra le mille righe nere intrecciate a quel bianco sporco, in maniera completamente disinteressata, come se fossero solo linee prive di significato. Forse lo erano?

Ormai non c'era nulla di nuovo.

Nulla di nuovo in quei fogli disordinati su quella tavola di legno, nulla di nuovo nel colore sbiadito delle pareti, nulla di nuovo nelle tapparelle perennemente abbassate della finestra.

Nulla di nuovo nelle miriadi di tele sparse per la stanza, prive di senso, prive di logica.

Erano lì, buttate l'una sull'altra, macchie anacronistiche che non si addicevano più a ciò che era diventato. I pennelli ormai erano tinti di polvere, quasi tra le spatole si poteva scorgere un piccolo ragno che faceva capolino fremente di essere notato.

Hyunjin era lì, in quella stanza, fuori luogo. Non aveva più nulla che avesse solo lontanamente a che fare con quei disegni, con gli scaffali pieni di libri, con la macchina fotografica abbandonata sul pavimento, con la tastiera punteggiata da granelli grigi. O forse qualcosa in comune con tutto questo lo aveva: ormai non serviva più a nulla.

| Silenzio || Hyunlix |Where stories live. Discover now