Prologo

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James


«Sei una pazza!», sbraito contro Brenda mentre scendo dalla macchina in preda alla tachicardia.

«Potevi evitare di vendere la tua auto, così ci venivi da solo fin qui!»

«È la tua patetica scusa per non saper guidare?»

«È il mio modo di dirti di non rompere

«Ti rendi conto che abbiamo rischiato di morire almeno otto volte venendo qui?!»

«Eppure parli ancora, vuol dire che sei vivo».

Sbuffo innervosito e getto un'occhiata diffidente a questo posto: l'aeroporto internazionale John F. Kennedy.

«Scusa, ma perché non potevano prendere un taxi? A New York ci sono più macchine gialle che venditori di hamburger».

«E io che ne so», mi risponde Brenda che, come al solito, non si è nemmeno informata sul motivo per cui abbiamo dovuto metterci in strada per percorrere venti miglia. «Ha solo detto che dovevamo andare a prenderli quando l'aereo sarebbe atterrato e che ha una cosa importante da dirci».

«Certo, figurati. Attendiamo solo lei e le sue notizie importanti», rovescio gli occhi.

«Se non volevi venire bastava dirlo», mi appunta spavalda mentre prende a camminare attraverso il parcheggio.

«Non ci saresti mai venuta qui da sola», le ricordo. «Hai troppa paura di percorrere viaggi più lunghi di dieci minuti se non c'è nessuno con te».

«Lo avrei sopportato», mi liquida entrando in aeroporto.

Dio, che razza di odore di popolo che ci sa qui dentro. Ma non tengono arieggiato?

«Speriamo arrivino presto», confesso provando un moto di disgusto.

«Dovrebbero già essere arrivati, in effetti».

«Oh! Guarda! Eccoli!», faccio io sollevato appena li vedo.

«Non sono loro», replica Brenda che stringe gli occhi per controllare meglio. «O sì?»

«Ma sì che sono loro. Riconosco il cappotto di Natalie. Vedo i pallini della lana fin da qui».

«Oh cielo, che facce», osserva la mia amica, e io non posso che darle ragione. Sono entrambi pallidi come due cenci.

«Ma che gli è successo?»

Natale sotto sequestroWhere stories live. Discover now