Estasi in Baozhi | @Elegantstork

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di ElegantStork

La musa che ha ispirato questo racconto è Polimnia, musa della danza rituale. Le opere che lo hanno ispirato sono la fotografia indicata di seguito e il brano riportato.

Estasi in Baozhi (宝志村的狂喜)

Il seguente racconto contiene scene e temi disturbanti e adatti a un pubblico maturo.
La fotografia che ha ispirato la scrittura di questo racconto non è idonea alla pubblicazione su questa piattaforma secondo le linee guida per i contenuti multimediali di Wattpad, pertanto non è disponibile in questa pagina. Può essere visualizzata al link https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Supplice_Fou-Tchou-Li.jpg. Attenzione! L'immagine è una fotografia storica che raffigura una scena di violenza cruda e reale, pertanto non è adatta a chi sia facilmente impressionabile. Si avvisa anche che questo racconto non concorrerà per alcun premio ed è unicamente un'aggiunta a questa raccolta di storie scritta per il gusto di partecipare senza concorrere. Detto questo, buona lettura

"Le jeune et séduisant Chinois (...) livré au travail du bourreau, je l'aimais d'un amour où l'instinct sadique n'avait pas sa part : il me communiquait sa douleur ou plutôt l'excès de sa douleur et c'était ce que justement je cherchais, non pour en jouir, mais pour ruiner en moi ce qui s'oppose à la ruine" – Georges Bataille

Le lenzuola erano come veli traslucidi nella stanza da letto e proiettavano ombre sottili sulle pareti illuminate dalla luce delle lanterne cinesi. Il frinire delle cicale sovrastava gli ansiti dei due individui intrecciati lì sotto, i corpi intrecciati in una penetrazione ritmica e imbarazzata. Sembravano immaginare che la pelle dell'altro fosse la superficie di un vaso di porcellana, estranei al vento della passione che fa ghermire la carne e schioccare i muscoli. Anche i loro gemiti erano più simili a dei fiati trattenuti. Più che un rapito atto d'amore, in quel letto sembrava essere in corso un accoppiamento tra insetti, tra rettili silenziosi e sconosciuti. Ma quest'immagine non era ciò che Claude stava immaginando. No, i movimenti ritmici delle lenzuola gli riportavano alla memoria un'altra scena, distraendo la sua mente dalla scialba marea di dopamina già intenta a placarsi nelle sue vene. L'immagine era celebre, quasi iconica: il momento esatto in cui la diga di Tanajisagar, nel 1961, era collassata sterminando gli abitanti del remoto villaggio di Pune, nel cuore dell'India Settentrionale. Bastiaan van Ossenrijk si trovava lì proprio in quei giorni, impegnato nella missione di fotografare una particolare specie: il raro e bellissimo Uccello delle tempeste di Swinhoe continentale. Com'è noto questo volatile si riproduce nell'isola di Verkhovsky o nelle isole dell'arcipelago giapponese, ma quell'anno al Deutsche Ornithologen-Gesellschaft erano giunte delle anonime e sfocate fotografie che ne suggerivano la presenza anche nella regione del Maharashtra, vicino alle scogliere nebbiose dell'Oceano Indiano. Dopo diversi giorni di pioggia, immobile come un airone e immerso in una pazienza predatoria, van Ossenrijk aveva visto il cemento gonfiarsi e pulsare senza preavviso. Mosso da curiosità, egli si era spostato su un crinale poco distante per avere la miglior visuale possibile della diga. I suoi muscoli si erano fatti rigidi quando egli aveva avvertito un tremolio nell'aria, il presentimento che una tragedia era in procinto di consumarsi, e il suo dito aveva preso a fremere sopra il pulsante di scatto finché un boato assordante aveva riempito valle. L'otturatore della camera si era aperto esattamente nel momento in cui le pareti della diga erano esplose all'unisono, frammenti di una granata colossale scaraventati in alto nel cielo plumbeo. Il gigantesco muro d'acqua, una massa solida e senza spume, fu immortalato per sempre nella pellicola, cristallizzato in quell'istante di stasi prima della catastrofe. Un massiccio acqueo che emergeva dalla pioggia e dalla nebbia, un titano di venti metri che si liberava dal proprio guscio di cemento in una mirabolante manifestazione della somma autorità della natura.
Fu così che van Ossenrijk vinse il suo primo pulitzer per la fotografia. La fatalità di quel momento era incomprensibile, quasi miracolosa. Quante erano le probabilità di immortalare con simile precisione quell'attimo prima della catastrofe? Quello era il tipo di fortuna che un fotografo poteva sperare di avere una volta nella vita, forse meno. Per questo motivo la stampa rimase sbalordita quando van Ossenrijk l'anno seguente presentò alla medesima giuria la foto di cinque iene intente a sbranare il generale Silva Diogo tra le fiamme di un elicottero militare schiantatosi nella savana. Il bagliore accecante del fuoco nel bianco e nero della pellicola gettava una luce infernale sulle fronde delle acacie e sulle fauci sporche di sangue delle belve maculate. La faccia del generale era impossibile da riconoscere nel buio della notte africana, ma le medaglie sull'uniforme brillavano arroventate, bianche come gli occhi degli animali intenti a divorarlo. Van Ossenrijk si era recato in Angola per documentare la guerra d'indipendenza da poco scoppiata, ed era intento a vagare nelle pianure al largo del villaggio di Xangongo quando aveva visto l'elicottero precipitare a pochi chilometri dal corso del fiume Kunene. Nessuno riusciva a spiegarsi com'era possibile che le iene avessero attaccato il generale nonostante la vicinanza alle fiamme, ma non c'era dubbio che la fotografia fosse autentica. Ecco, Claude riuscì a visualizzare chiaramente l'immagine mentre carezzava la pelle sudata sui fianchi di Daiyu, intenta a grattare via una ciocca di capelli rimastale incastrata all'angolo della bocca. Il premio Pulitzer andò di nuovo a van Ossenrijk, non senza un controverso dibattito vista la crudezza dell'immagine, ed egli divenne una leggenda nel mondo della fotografia. Con le lodi di Diane Arbus, Charles Moore, persino Jack Thornell, che ora conoscete per la leggendaria "The Shooting of James Meredith" e che nel '66 soffiò l'ambito premio a van Ossenrijk e alla sua foto di un operaio brasiliano segretamente colto in un atto sessuale con una gallina in una fattoria proprietà di McDonald's. Ben presto, van Ossenrijk venne ribattezzato "il fotografo maledetto", vista la sua capacità di immortalare gli atti più osceni e cruenti in maniera perfetta, quasi miracolosa. Ovunque andasse portava la tragedia con sé, come quando nel '68 fotografò i primi istanti del massacro di Tlatelolco in Messico (nonché uno studente in costume da guerriero giaguaro azteco colpito da una fucilata) e nel '66 immortalò l'immagine di due ufficiali dell'esercito kenyota intenti a smembrare dodicenne albino durante la Guerra degli Scifthà. Quest'ultima immagine causò molto scalpore, come si può immaginare, e fu censurata in diversi paesi. Un bagno gelido e improvviso di shock, una spietata rappresentazione dell'odio umano senza filtri e senza sottigliezze racchiusa nella perfetta cattura di un attimo: questo era lo stile consolidato e acclamato del maestro. Ormai era evidente: van Ossenrijk era un fotografo troppo fortunato per nascondere la fatalità della sua presenza come una coincidenza. Le voci dicevano che avesse stretto un patto col diavolo. Egli viaggiava sempre da solo, non rispondeva alle domande dei giornalisti e riusciva sempre a eludere ogni investigazione formale o esoterica. E chi l'aveva incontrato lo aveva descritto come una figura mistica, un individuo affascinato dal lato più marcio e oscuro dell'essere umano non con l'ottica di un curioso, ma con quella di un profeta.
L'orgasmo distrasse Claude dalle sue fantasie giornalistiche. Non ci furono urletti o gemiti, solo un sospiro svogliato da parte di Daiyu per segnalargli che l'obiettivo era stato raggiunto. Claude guardò il suo volto: era del tutto inespressivo, a malapena inacidito da qualche pensiero cinico nascosto dietro gli occhi a mandorla.
«Stavi pensando a un'altra» disse Daiyu, scavallando le gambe.
Claude non poté fare a meno di riderle in faccia, sgarbatamente.
«Sei disgustoso»
«È proprio vero, lo ammetto. Stavo pensando a Pat Nixon. Sai, ancora non riesco a perdonarmelo di farmi scopare da scolarette comuniste e l'unica possibile penitenza è immaginare il severo viso della first lady che mi rimprovera perché non sono fuori a distribuire riso ai poveri cinesini. God bless America!»
Daiyu lo colpì al volto con un cuscino, facendogli cadere gli occhiali sul materasso.
«Ferma, cazzo! Me li rompi!»
«Certo che voi francesi non siete tanto bravi come dicono, a scopare» disse la donna, senza nascondere la propria stizza.
«Sono stressato, Daiyu. Non dormo da giorni. Mi dispiace se non ho soddisfatto le tue aspettative»
«Mi hai guardata come se fossi trasparente...»
Claude scese dal letto, facendo scricchiolare il materasso che puzzava di sudore. Si infilò un paio di boxer che il sole non era aveva asciugato del tutto, indossò le ciabatte e si gettò svogliatamente sulla sedia di fronte alla scrivania. Daiyu lo seguì con sguardo perplesso, ancora sdraiata sul letto con i lunghi capelli che le coprivano i seni, e sollevò il sopracciglio quando lo vide prendere la macchina da scrivere.
«Che fai? Scrivi?» domandò.
«Sì, credo mi sia venuta l'ispirazione. Ho l'articolo fresco in mente, non posso lasciarmelo sfuggire» rispose Claude, armeggiando goffamente con i fogli inumiditi dall'afa. Ne incastrò uno nella macchina da scrivere e iniziò subito a picchiettare sui tasti. Le narici di Daiyu si dilatarono in segno di disgusto.
«Stavi pensando a lui?»
«Cazzo, sì» Claude non si girò, rimanendo chino sulla scrivania «fra qualche ora dovrò incontrarlo e non sono mai stato così nervoso in vita mia. Immagina se tu dovessi incontrare il tuo mitico Mao Zedong all'alba: ecco, è così che mi sento. È da ieri che cerco di scrivere l'introduzione all'articolo ma non ci riesco, vorrei fare un lavoro decente stavolta»
«Sei patetico» Daiyu si voltò dall'altra parte, infastidita dalla vista dei nei sulla schiena dell'uomo «anche quando scopi l'unico modo che hai di eccitarti è pensare a quelle schifezze»
«Ma che stai dicendo...»
«Lo sai anche tu. Lo sai che hai raggiunto l'orgasmo solo perché hai pensato a quella foto del congolese che osserva le mani tagliate del figlio durante il regime di Leopoldo II. O alla foto dei due coniugi in riva al mare che cercano il bimbo scomparso tra le onde, quella che mi hai mostrato l'altro ieri. Te l'ho visto in faccia»
«John Gaunt. 1955. Tragedy by the Sea. Ci sei andata vicina, lo ammetto»
«Non negarlo, la tua fissazione per le tragedie umane non è diversa dalla masturbazione. Per questo sei così ossessionato da quel tipo»
«Ossessionato?»
«Ossessionato, sì. Non fai altro che parlarmi di lui. La tua è un'ossessione»
«E di che dovremmo parlare? Di comunismo? Facciamo un po' a turno, un'argomento di conversazione lo scegli tu e uno io?»
«Sei uno stronzo»
«Perché invece tu sei il volto della compassione, ti prodighi così tanto per questi poveretti! Ringraziamo il nostro glorioso leader Mao per il Down to the Countryside Movement e per aver finalmente sciolto il cuore di ghiaccio della brillante studentessa di Nanchino con l'affetto dei contadini dello Yunnan»
«Faccio la mia parte» il tono di Daiyu si fece più serio. Non aveva voglia di scherzare. Si vedeva che era stanca di quella conversazione. Claude smise di picchiettare sui tasti e si voltò per rivolgerle un'occhiata di rimprovero.
«Prendo il mio lavoro molto seriamente, ecco tutto» disse «la verità è che tutti questi viaggi mi rendono distaccato, apatico. Non me ne frega niente di tutti questi villici, hanno avuto sfortuna ma la loro condizione non è peggiore di quella di altri due miliardi di persone. Li compatisco, certo, ma non sono qui per fare il buon samaritano. Sono qui per documentare la realtà dei fatti e nulla di più»
«Lo sai che non è così, tu sei attratto da questo schifo» ribatté Daiyu.
«Guarda che inizi a farmi incazzare»
Improvvisamente qualcuno bussò alla porta e Daiyu nascose fulminea le proprie parti intime sotto le coperte.
«Alla larga!» sbraitò Claude. Dall'altra parte della porta giunse una voce in cinese, piuttosto nervosa, e l'uomo restò interdetto. Che motivo c'era di disturbarlo a quell'ora della notte?
«Rivestiti, svelta» Claude porse camicia, gonna e calze a Daiyu, dopodiché si infilò sbrigativamente una camicia hawaiiana e si pettinò i capelli sudati; «Arrivo!» esclamò, sperando di far tacere il cinese che aveva iniziato a martellare pugni sulla porta.
Quando aprì, si ritrovò davanti il viso scavato e arcigno del capovillaggio. L'uomo aveva un'espressione minacciosa ed era circondato da una dozzina di villici armati, tra cui due miliziani che brandivano un moschetto della guerra civile e tre membri del comitato del villaggio.
«Claude Lefèvre!» sbraitò il capovillaggio, storpiando il suo nome con quel suo accento nasale, dopodiché iniziò a parlare in cinese con un tono aggressivo. Attraversò la soglia, piantandosi di fronte al fotografo, e rivolse uno sguardo colmo di disprezzo a Daiyu quando la vide seduta sul letto.
«Che sta dicendo?» domandò Claude.
«Sta dicendo che c'è stato un omicidio» rispose la donna, la fronte aggrottata «giù al granaio, vicino alle macerie della mensa. Uno della milizia è stato trovato morto»
«E che vogliono da me? Che ci scriva un articolo?»
«No. Dicono che un testimone ti ha visto sulla scena del crimine. Devi venire con loro»

Viaggio in EliconaWhere stories live. Discover now