Capitolo 12

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Il funerale di Lizzy fu l'evento più toccante,più disperato che potessi mai vivere da così giovane. Mi rese debole e vulnerabile da rompere il mio tenero cuore di metallo e lo rese umano,permettendomi di piangere come un bambino appena nato,straziata dal dolore. Il corpo di Lizzy era disteso sul letto adornato dal suo amato marito John,con la biancheria più bella che possedevano, per far sì che l'anima della sua amata possa volare in paradiso con tutto il suo amore.

Lizzy era una donna semplice e di animo buono,amava la natura,la vita e la sua famiglia, soprattutto il piccolo William, posto accanto al suo cadavere,vestito di tutto punto con il suo abito preferito: rosso come una rosa,con un cinturino bianco per contrasto che finiva dietro la sua schiena con un fiocco bianco. La minima parte dei suoi capelli,color rame,erano raccolti in due piccole trecce e il resto giaceva sulle sue spalle con delle margherite nell'appassito campo di grano. La sua bellezza era invidiabile da molte donne della città e dalle sue amiche,descrivendola come una ragazza giovane e nel suo piccolo molto forte,con una bellezza e due occhi penetranti azzurri,come se tutto il cielo,sole nuvole, rondini e stelle fossero concentrati nella sua iride. John amava i suoi occhi,ne era prigioniero a vita e quando la vide appena morta, impiccata, notò la luce del cielo spegnersi,diventando tenebra che catturò i suoi sogni per l'eternità. John,il medico bambino, piangeva e piangeva così come me, piangevo per Lizzy e William, affezionata madre e fratellino,gli unici a cui importava davvero di me. Condividevo tutto con lei:segreti,oggetti e persino vestiti,che mi calzavano a pennello.

Dopo il funerale chiesi al migliore amico del medico se potessi rimanere con Lizzy e William,dato che soffrivo ancora. Povera sedicenne com'ero,non possedevo ancora la forza necessaria per superare questi eventi così terribili e da questo preciso momento iniziò ad aprirsi un varco,un grande varco nella mia vita,che mi avrebbe condotto alla mia morte. Iniziai a fumare tabacco per lo stress,per i troppi compiti e doveri obbligata a svolgere per colpa di mio padre,essendo la figlia maggiore. Tutto quel tabacco era la mia liberazione,ogni aspirata,ogni fiammifero utilizzato,solo il suono del tabacco ardente mentre aspiravo dalla pipa,mi rendeva assai felice e appagata,senza preoccupazioni. Giacevo nel mio posto felice,seduta accanto al salice piangente che amavo tanto e fumavo,fumavo da pochi giorni,tuttavia mi creò una dipendenza tale da rubare il tabacco a mio padre,camminando silenziosamente nella sua camera da letto,senza farmi notare "Fai silenzio,non farti scoprire!" mi ripetevo incessantemente nella mia testa mentre ero intenta a rubare il tabacco e di corsa come una lepre uscii dalla camera da letto dei miei genitori e scappai sotto il mio salice piangente. Piangevo come il salice,di felicità,ero stata così brava a commettere un'azione assai distruttiva e questo peccato mi sarebbe mai stato perdonato? Il mio cuore sperava di si,in modo tale da morire tra trenta,quaranta o cinquant'anni salva nel regno di Dio,con Lizzy e William,giocando assieme per l'eternità. Non mi importava cosa avrebbero detto al mio conto,volevo solo star meglio e senza preoccupazioni e così accesi la mia sigaretta: il fumo perforava i polmoni,lacerava l'anima,squartava il povero cuore,senza dolore o sofferenza,entrava dalle labbra rosee,giaceva nella gabbia e fuoriusciva dalle narici rosse per il freddo.

Dopo qualche ora tornai a casa,tranquilla,con una puzza di fumo pronunciata sul collo,dietro le orecchie,sul petto e nella chioma,rendendo la mia rapina nulla,dato che le prove erano abbastanza evidenti. "Tu...vieni qua...perché la mia figlia maggiore puzza di tabacco e perché,per quale motivo,ho una notevole mancanza di quell'esatto tabacco di cui mal odorano le tue vesti?''. Appena entrai in casa, dall'uscio, si sentiva lo stesso odore di tabacco che mio padre aveva giusto finito di fumare e si rese conto che il suo pupillo,la salvezza della famiglia,aveva rubato e usufruito del suo prezioso tabacco andò su tutte le furie e con il cuore bruciato dal tabacco e dalla vergogna mi colpì duramente,facendomi gridare di disperazione...vidi per la prima volta l'oceano e non era come me lo immaginavo. Pensavo fosse tranquillo e invece lo vidi con una marea di schiaffi che la luna,impetuosa,mi lanciava e lanciava... era spietata la bestia,la creatura non umana che avevo appena conosciuto era infuriata,con una rabbia così forte,ardente,rovinosa da lasciarmi quasi morente sul pavimento,senza qualche dente, sanguinante,con le guance rosse come pomodori appena maturi. Era la prima volta,una di tante,che mi ritrovavo quasi morente sulla spiaggia di notte,con la cara luna che mi consolava,che mi accarezzava il volto sfregiato e le ferite,meno doloranti rispetto a quelle dell'animo.

Mia madre sembrava non esistere,rimaneva lì ferma,mentre mio padre mi picchiava,non curandosi della situazione: "Madre! Non fa nulla per difendere la sua figlia maggiore?'' le urlai di fare fermare suo marito, implorandola di farlo smettere e lei,succube del marito,mi rispose con una freddezza che non le apparteneva,imparata dall'uomo della sua vita "Sei grande,no? Sei la figlia maggiore? Difenditi da sola.''. La loro freddezza mi spezzò il cuore,facendomi rendere conto della famiglia in cui ero stata assegnata da Dio, dall'alto,capendo che non esisteva nessun Dio, perché se davvero sarebbe esistito,non avrei vissuto una vita così,dove se si era bravo e gentile si era completamente ignorati,tanto si è diligenti,non serve aiuto o affetto e se si era cattivi o scellerati,si veniva trattati come la feccia dell'umanità,una delusione,anche se si prendeva un voto inferiore alle aspettative. Dio amava tutti gli uomini,no? Quindi dovrebbe essere clemente e avere un minimo di compassione per un'anima come la mia... Tutti incoerenti e senza cuore,così vedevo il mondo degli adulti,senza un briciolo di sentimenti nei confronti dei più piccoli e tutti pensavano che l'alta divinità li avrebbe salvati,ma alla fine...perché faceva accadere simili calamità alla cara umanità? "Dio ama tutti gli uomini e quindi mi odiava? Potevo almeno vivere nell'illusione,la speranza che almeno qualcuno,reale o no,mi avrebbe amata incondizionatamente?...

"Dovevo amarmi o uccidermi?'' mi ripetevo nell'ultimo anno della mia misera esistenza e ribattevo al mio cuore che preferivo la morte! Preferivo uccidermi,ora mai era tardi,ero in età avanzata,avevo ventisette anni,era tardi! Non riuscivo ad amare il corpo e l'anima che avevo distrutto con le mie stesse mani e non potevo amare senza sapere cosa sia l'amore...Ah quanto era tardi! Tutti mi consideravano una "disgrazia" solo perché non avevo le possibilità di concepire figli,lo pensavano forse perché nel giorno del mio matrimonio,la prima notte insieme a quell'uomo, dovevamo concepire un erede... solo che quella notte,sola nel letto dell'immensa reggia,dormivo serena,con "mio marito" fuori città,a divertirsi con altre donne.... Non voleva stare con me e io con lui e per me andava bene così,almeno potevo avere sogni tranquilli,ma la società,la mia famiglia,aveva sempre creduto nella mia infertilità,da come avevo riferito,per la paura di distruggermi ulteriormente. Non volevo un erede,un figlio mio,ero decisa e talmente decisa che la mia falsa teoria era corretta: non potevo avere figli. "Ah che donna senza anima!'', "Oh come può non avere figli? È così acida che Dio l'ha punita!''. Lasciavo perdere le voci che correvano come un fiume in piena nel bel mezzo della tempesta. Avevo altre preoccupazioni a cui pensare:alla mia mente,cuore,polmoni e anima. Intanto che la morfina scendeva per l'ennesima volta nel mio stomaco,le illusioni continuavano,facendomi ritrovare in un luogo desolato,innevato e il più freddo mai immaginato dalla mia mente: mi trovavo in una grotta ghiacciata,le mie paure e preoccupazioni crescevano imponenti come stalattiti e cadevano in millesimi di secondo sul pavimento,parendo una fucilazione capitale,dopo pochi attimi non si esisteva più. Correva e correva la piccola lepre in pericolo,scendendo assiduamente nell'oscurità. I suoi piccoli rotondi occhi non vedevano nel buio e un boato echeggiò nella grotta,senza pietà e senza altri cinque minuti di respiro sparì nel nulla più assoluto,senza inferno né paradiso,senza né passato né futuro,senza alti e bassi,nel freddo di gennaio,tra le braccia di Morfeo: prese la lepre,con il suo calore la fece addormentare e con un bacio sulla fronte mi diede il colpo di grazia,rendendo il mio corpo senza gravità,immune al peso della terra che mi attraeva e cadevo in un baratro infinito,per anni,secoli e millenni,per poi terminare laggiù,nel lago ghiacciato,schiantata sul ghiaccio marmoreo nella mia pena capitale.

Morì la piccola lepre nella sua tana, all'età di ventisette anni,caduta per un colpo al cuore,abusando di sostanze e di arsenico,lo stesso che il dottor Gufo le aveva dato,pur di non vederla soffrire. Seriph prima di morire vide tutta la sua vita passarle davanti come un treno,come un lungo sogno e apre gli occhi.

Apro gli occhi e vivo di nuovo.

"Sono sempre stata una ragazza brillante...''. Ma di chi è questa storia? Ah non importa! L'importante è pensare al futuro...ma che futuro ho io? Sono solo una giovane ragazza in cerca di un lavoro per pagare le mie tasse a fine mese e per comprare qualche sigaretta... Hmm non importa! Penso e ripenso in riva a un lago in America...di chi era questa storia? Qualche deja vu? Magari era una vita passata? Ah non importa! Continuo e continuo a ripensare a quella vita, con così tanto dolore e sofferenza,povera ragazza.... Spero abbia avuto un bel futuro,almeno lei.

''Beh la mia vita passata era abbastanza travagliata,non è cambiata tanto da ora'' si sente un boato di un fucile. Un colpo al cuore, straziante e doloso. Hanno trovato il fucile sulla riva del mare e io accanto alla riva,fredda come il ghiaccio. Mi ero tolta la vita. Era il mio compleanno.
Avevo compiuto 27 anni.

                                                                       - FINE -

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