2. Polmoni

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Uno... Due....
No, dannazione.

Uno....... Due......Tr

"Avanti! La cadenza del respiro riflette ciò che voi siete! Non ci credo proprio che un respiro così lo abbiate voi, ora, dopo nemmeno due anni di allenamento. Cose di questo tipo potreste permettervele forse tra mille anni, quando farete concorrenza al maestro Miagi di Karate Kid"

D. rimase interdetto.
Cosa intendeva dire?
Il suo maestro era un omino abbastanza buffo, dalle cadenze effeminate e alquanto pittoresche. Aveva tuttavia una capacità di leggere chi gli stava attorno che non usava propriamente a suo favore, sputando gocce di mortale verità ovunque posasse la sua vispa lingua.
"No, non ci credo proprio. Se respirate così piano nella pratica della meditazione state chiaramente sbagliando qualcosa: i pensieri non dovete portarveli addosso, qui non si deve pensare a nulla, solo alla estrema sintonia dei nostri organi interni. I problemi via, sciò! Quindi per favore non sforzatevi. Respirate con il vostro ritmo naturale."

I pensieri.
Che strana cosa i pensieri.
Si insinuano ovunque, turbano, scuotono.
Viaggiano come un treno in deragliamento sino ad insinuarsi in qualche organo interno troppo debole per fermarli ed eccoli lì, annidati, pronti ad esplodere e portarsi con sè le interiora in un atto di auto-terrorismo psichico. Una enorme esplosione che lancia parti di noi ovunque, una devastazione interna, un campo raso al suolo che nessuno vede se non attraverso dolori o malattie.

D. si chiese se aveva dei pensieri.
Forse sì, forse no. Ciò che stava attuando ora era proprio una forma di pensiero, ma non era il tipo di pensiero che intendeva lui.
D. vedeva i pensieri come bolle ordinate, specifiche. I pensieri della buona-notte, i pensieri del buon-giorno, i pensieri di ciò-che-devo-fare, i pensieri di felicità, i pensieri di odio, i pensieri di rabbia.
Questo che pensiero era, in effetti?
D. ci pensò qualche istante.
Massì, che stupido.
E' un pensiero di ordine!

D. provò a respirare più velocemente.
Il cuore gli salì in gola e sentì come se gli si fosse incastrato qualcosa nella parte bassa della trachea. Stava lì come un prurito opprimente, mandando D. in tachicardia.
Cosa sta succedendo? "Non ce la faccio" sospirò D. "devo respirare piano".

In effetti, la respirazione cauta gli consentiva di tenere tutto sotto controllo.
Era come se si mimetizzasse con la stanza, con il pavimento, con tutto ciò che giaceva attorno a lui. Era come se scomparisse, pensò.

"Altro che pensieri! Io respiro così per non averne!"

"D. tutto bene? La vedo agitata oggi. Vuole andare a prendere dell'acqua? La meditazione esce meglio quando si è in pace con sè stessi".

Puttanate, pensò D.
"Da quando in qua uno medita se sta già bene con sè stesso" pensò.
Per un attimo gli tornò a mente il suo desiderio di essere quel grande e ricco ereditiero che seguì le orme di Achab, alla ricerca della balena bianca.

"io....."
Di nuovo.
D. stava per soffocare.
Ora quel pugno immaginario sullo sterno lo colpì per bene.
D. stava lì, steso sul pavimento, come un pugile andato KO contro un avversario invisibile.

Le altre persone accorsero in aiuto.
D. stava steso, pietrificato. Osservava tutti questi occhi che senza pudore invadevano il suo spazio.
Lo osservavano, lo scrutavano e giudicavano.
"poverino! Dev'essere un calo di zuccheri! Alzategli le gambe!" disse una signora.
D. pensò che, se avesse avuto la forza, con le gambe le avrebbe tirato un gran calcione.
"Ma no! Ha gli occhi aperti! Magari è morto."

Morto.... Morto.
E se fosse morto davvero, questo D.
Nessun attacco di panico in paradiso, pensò.
Ma cosa gli avrebbe potuto far meritare il paradiso?
Nulla! Era solo un inetto con un'ansia paralizzante, diviso tra la sua vita da verme e quella di un grandioso condottiero che avrebbe voluto essere, ma che - parliamoci chiaro - non sarebbe mai stato.
Una grande rabbia gli montò addosso.
Diavolo, non era sul serio capace di fare nulla.

"Non si muove! ha gli occhi sbarrati! E se stesse avendo un infarto?" Ipotizzò P., uno strano signore che temperava le matite nel bar per anziani.
Che figura di merda.
Davanti a tutti, senza ritegno. Senza riuscire a muovere un singolo arto.
In effetti, un po' di dolore lo provava.
Non era al cuore, però. Non il cuore in senso stretto.
Qualcosa dentro di lui si era rotto, e gli faceva male.
Gli occhi di D. si riempirono di lacrime.
"Chiamate qualcuno -pensò- chiamate mia ma..."

Il dolore ai polmoni si fece ancora più forte, questa volta si chiuse la gola.
Gli occhi scoppiarono in un pianto.

Svenne di nuovo, questa volta sul serio.




Racconti dalle Interiora.Where stories live. Discover now