10. Tendini

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Ogni mattina bisogna svegliarsi e alzarsi con il piede destro. Alzarsi con il sinistro porta male e ci mancherebbe altro che qualcuno provi piacere nel dedicarsi un bidone di sfortuna di prima mattina.
Dopodichè è necessario ordinare i calzini nel cassetto in ordine di pesantezza. Se una mattina ti svegli e c'è un grado, fuori, devi sapere immediatamente che calzini mettere, altrimenti è una perdita di tempo.
Poi è necessario dedicarsi alla pulizia del viso. Servono esattamente 340 bolle per coprire tutta la faccia - almeno quella di D.
Che siano bolle piccole, almeno significa che nel detergente non ci sono troppe schifezze. Tuttavia, secondo D., ci si può concedere la pazzia di 210 bolle ben assestate una volta al mese, per quel pizzico di trasgressione festiva.
I vestiti devono sempre essere puliti e profumati, così come l'intimo (fondamentale!) e i denti: se dovessi morire accidentalmente e improvvisamente camminando per strada, è importante che tu sia quasi perfetto quando qualcuno ti toglierà i calzini. Nel bene o nel male.
Infine, dopo una serie di altri rituali più precisi dedicati a D., è importante che tu abbia sempre due bottiglie di acqua in macchina. Una per te e una per il tuo vicino di auto qualora arrivasse un'apocalisse e ci fosse una coda chilometrica in un paese di provincia. Anzi, anche tre. Ma non più di tre, oppure ti uccideranno per avere anche la tua.
E' importante che l'acqua sia un benefit di pochi che una speranza di troppi.

Da quel momento, si può uscire e affrontare la giornata.

Tutto era lento nella casa di D., nei suoi movimenti, nei suoi pensieri.

Non si sa cosa ci trovasse di così magico in quel luogo sperduto, pieno di umidità e piante infestanti.

Qualcosa, tuttavia, lo assorbiva, lo legava al suo posto come un tendine tiene un muscolo attaccato al suo osso. Nulla avrebbe potuto dividerli, e, se ciò fosse sventuratamente accaduto, avrebbe fatto davvero davvero male.

Un male secco.
Un male sordo, elettrico, pervasivo e intenso.
Come quando si sbatte il gomito contro un angolo del muro.

D. non aveva sentito male quando aveva affondato la lama nel collo, o, almeno, non si ricordava di averne provato. Sentiva piuttosto un fischio sordo e costante, che talvolta si tramutava in un telefono senza fili.
Qualcosa gli diceva che, in fondo, era normale che nulla andasse bene.
Lui non andava bene. E qualcosa si premurava di sussurrarglielo nell'orecchio.

Non importava quanto il dottor Polser gli stesse accanto, quanto gli dicesse, con serietà, che ciò stava avvenendo per un motivo che - casualmente - non era solamente un desiderio irrisolto di fuggire in mezzo al mare; non importava quanto quei capelli rossi gli ricordassero il primo bacio a Jessica, una persona che era stata in grado di apprezzarlo; non importava di quanto "ci fossero mali peggiori al mondo".

"C'è di peggio, dai. Ci sono malattie incurabili, o situazioni decisamente più gravi della tua, D."
Ah, quanto odiava queste frasi, D.
A D. non sembrava una situazione tragica, sembrava tutto estremamente normale.
Non si lamentava apertamente di nulla, D.
Era normale pensare di essere un fallito, aveva cominciato ad abituarcisi.
Era normale passare ore e ore di dialogo con sè stesso, aveva letto su un giornale che i riflessivi - no, non i verbi - sono i più intelligenti.
Era normale sognare ad occhi aperti su cosa sarebbe stato se fosse stato più ricco, bravo, bello, intelligente.
Era normale passare intere notti insonne per i sensi di colpa scaturiti dalle più incredibili faccende quotidiane.

Tutto lasciava intendere a D. che era normale che, sostanzialmente, la sua vita fosse un vero disastro.
Anzi, per la realtà, D. non lo vedeva come tale. Non concepiva proprio l'idea che qualcuno potesse non essere così come lui. Che qualcuno, in fondo, potesse "cambiare". Cambiare da cosa poi? Cosa avrebbe voluto cambiare? Talmente tante cose che poi non sarebbe più stato lui.

D. aveva ben chiaro cosa doveva fare, mai stato più chiaro di ora: doveva seguire i suoi rituali.
Ultimamente aveva ridotto notevolmente le sue credenze ossessive, aveva cominciato a chiedersi se, in fondo, l'idea che qualcosa dovesse andare male fosse in realtà soltanto una suggestione propria, per placare la sua ansia verso il mondo.
E invece no.
D. aveva capito.
Nessuno meglio di lui poteva sapere quanto fosse fondamentale seguire quelle poche e semplici regole nell'ordine prestabilito, nessuno poteva capire quanto lui fosse maledetto.
Magari uno si immagina streghe, draghi, riti vodoo.
Invece no, invece basta non seguire dei semplici accorgimenti che taac - la vita diventa uno schifo tutto d'un colpo. Ma alla gente come Polser cosa poteva fregare se a lui le cose andavano male? Certo! Magari se fosse sceso con il piede sinistro il giorno X non sarebbe morto, ma almeno una cosa brutta sarebbe accaduta. ALMENO UNA.

A D. nulla sarebbe mai andato bene perchè era normale che fosse così.
D. era stato segnato.
Da quel giorno che aveva mentito, Dio lo sa, la ruota si era invertita per per lui.
L'aveva fatta grossa, troppo grossa per meritare una vita normale.

E l'aveva accettato.
Aveva soltanto la possibilità di sognare, nulla di più.
Ma dall'ultima notte aveva capito che anche i suoi desideri l'avrebbero ucciso.
Niente più onde nei suoi sogni.
Niente più capelli rossi, ami da pesca, balene di 30 metri.
Niente più benefici per qualcuno che non meritava di stare bene.
Solo con il dolore sarebbe stato libero.



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