Capitolo 5

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Luna

Cammino innervosita avanti e indietro per la lunghezza della cella il cui spazio viene velocemente consumato. Di nuovo qui, lancio un calcio contro il nulla, ancora una volta prigioniera, nuovamente tra le loro mani. Non dovevo fidarmi di Lucius. Cosa mi è passato per la testa quando l'ho seguito?! Era ovvio che tutto questo fosse una trappola, era ovvio che mi avrebbero nuovamente catturata. Forse avrei fatto meglio a rimanere morta, a lasciar vivere questi mostri con l'illusione della mia perdita.

Sono nuovamente circondata da queste quattro pareti di pietra, dal grigio quasi nero che conferisce a questo luogo un'atmosfera ancor più lugubre. Unici mobili: un letto duro come il marmo e non mi sorprenderei di scoprire che anch'esso sia fatto di pietra come le pareti; un tavolino di legno scuro, dove viene posato la mia razione di cibo quotidiana; una sedia anch'esso di legno scuro, scomodo come il letto e nient'altro è più presente, se non la porta che mi conduce al bagno. In fondo questa è una cella, non una stanza di lusso di un famoso hotel, pertanto è normale che sia così lugubre e vuota.

Ogni cosa, ogni singolo spazio di questo luogo è spento, scuro e senz'anima; ogni minima cosa che in qualche modo possa portare luci, viene inghiottita, come una fiamma che viene spenta con un singolo, semplice soffio. Questi sono gli inferi: dove un qualcosa di caloroso non viene trovato nemmeno per sbaglio, nè nelle persone né negli oggetti, tutto è come se fosse coperto da un mantello di oscurità.

Il tempo qui non ha uno scorrere, tutto è sempre immerso dal buio quasi come se fosse sempre notte, però una notte dove non sono presenti né le stelle né la luna, una notte dove ogni luce viene assorbita, dove il calore è ormai una cosa dimenticata e dove il gelo viene accolto a braccia aperte. L'unica cosa che si può ottenere è un pò di luce soffusa che non fa altro che farti desiderare ancor di più i raggi solari, qui irraggiungibili.

L'aria poi è così asciutta che ricorda l'aridità del deserto, ma non di un deserto caloroso, esso rappresenta di più un deserto di ghiaccio dove però fa un caldo che ti provoca i brividi di freddo; sarà la paura, sarà l'atmosfera, ma una cosa è certa sono di nuovo prigioniera degli inferi e tutto solo perché volevo riprendermi ciò che è di mia appartenenza. Vorrei incolpare James di tutto questo, ma non posso, sono ben consapevole che è tutta colpa mia, della mia debolezza; avrei comunque potuto continuare a vivere senza il carillon e la penna stilografica eppure da sciocca che sono, ho deciso di rimettere piede agli inferi per riaverlo indietro. Era ovvio che poi mi avrebbero nuovamente imprigionata, in fondo non si dice forse che coloro che si inoltrano negli inferi, non vi fanno più ritorno.

Ho avuto la fortuna di essere riuscita a fuggire dall'inferno, ma ho comunque voluto sfidare la sorte, credendo che ne sarei uscita una seconda volta.

Sciocca io che mi sono fidata del principe dei demoni. Faccio un verso di frustrazione e mi porto le mani tra i capelli per poi tirarne alcune punte, a quel punto sento l'abbagliare di un cane. Volto il mio sguardo verso le sbarre di ferro, gelide al tocco e scorgo la figura di Moon che scondinzola seduto, osservandomi in modo attento dopo che ha richiamato la mia attenzione.

Mi avvicino con sommessa lentezza accanto a lui. Buffo pensare che solitamente questa situazione è inversa, infatti di solito è il cane che si ritrova dietro le sbarre e non una persona ed insolito anche il fatto che sia l'animale a far visita alla persona. Mi abbasso e inizio ad accarezzare la folta pelliccia color pece di Moon. Perché una bestia degli inferi è così mansueta? Perché ti lasci accarezzare invece di mordermi o ringhiarmi contro?

"Stupida bestia. Non riconosce la feccia. Mi chiedo perché il principe non lo abbia ancora castrato." Afferma con una smorfia disgustata la guardia, osservando nauseato la scena in cui io accarezzo Moon.

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