Capitolo 6

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Luna

Quando il giorno dopo mi sono svegliata, non ho più trovato i resti del carillon, tutto il disastro su cui avevo lanciato il mio sfogo, era sparito quasi come se non fosse successo mai nulla, tutto è stato pulito a fondo senza che vi ci fosse lasciato alcuna traccia e non so dire se ne sia felice o meno. Intanto l'agitazione non mi ha più lasciato da quando Lucius mi ha informato che Lucifero si sarebbe accertato di una cosa riguardo la mia natura. La mente ha tirato fuori le più svariate ipotesi, facendomi rodere più il tempo scorreva. Non mi fido del re degli inferi, potrebbe farmi di tutto. La facilità con cui mi ha concesso la libertà, mi fa pensare che ci sia dietro molto altro. Chi dice che dopo il suo folle esperimento io non perda la ragione? Chi mi può accertare il fatto che ne uscirò illesa?

Lui è il diavolo, nessuno può di certo biasimare la mia sfiducia nei suoi confronti, in fondo si sa che Satana non gioca mai pulito. E ho come l'impressione che dietro questa sua finta concessione ci sia dietro altro.

Dovrei essere considerata fortunata in quanto sono una creatura speciale e rara come l'angelo perduto, ma io non mi sento fortunata, mi sento maledetta: un essere che è stato rinnegato dal paradiso e reso prigioniera dall'inferno.

Le ore passano incessabili e la clessidra ormai sta per finire i suoi granelli di sabbia, non ho più molto tempo per pensare a una via di fuga.

Mentre la mia mente è in immersa in tali pensieri, le mie orecchie vengono invase dal familiare suono della serratura che scatta, un suono che credevo non avrei mai più dovuto udire.

Volto il mio sguardo verso le sbarre di ferro e scorgo la figura di Alexander con il consueto vassoio di cibo. Ormai mi verrebbe difficile, immaginarlo senza un vassoio per il cibo, apparirebbe quasi un mio servitore se la situazione non fosse quella che è. Chissà se riuscirò mai a figurarmelo per quello che è, invece che per il compito che gli è stato assegnato nei miei confronti.

Entra nella cella come al solito e posa sul tavolino di legno il vassoio, ma io faccio finta di non essermene accorta e resto seduta sul letto senza muovere alcun muscolo. Che senso avrebbe nutrirsi se le intenzioni di Lucifero fossero quelle di uccidermi?

Tutta questa cosa di darmi un tetto, del cibo, degli abiti, non sono altro che una farsa; è tutto una recita, un'illusione. È così ridicolo il fatto che si prendano cura di me, tanto in un modo o in un altro comunque mi feriranno. Mi tengono legata a un dito e potrebbero in ogni momento uccidermi cosicché la pietà che stanno dimostrando nel nutrirmi, svanirebbe in un non nulla, mostrando ciò che sono in realtà: bestie assatanate che si nutrono di morte e di dolore, che godono nel vedere sofferenza e disperazione, che amano il sangue come le parole amino stare sulla carta.

Pertanto a che serve che si prendano cura di me se inevitabilmente il mio destino è segnato?

"Come mai non ti appresti a nutrirti? Il cibo non è di tuo gradimento?" Chiede Alexander con una nota di disprezzo.

Faccio una smorfia infastidita per il tono che ha utilizzato. Devo imparare a sopportare i loro irrispettosi modi rivolti a me, ai loro occhi sarò sempre e solo una sudicia angelo perduto.

"Non serve che ti disturbi ancora a portarmi cibo, puoi anche buttarlo via per quanto mi riguarda; non ho intenzione di ingerire ancora una sol cosa che provenga da questo posto. Non sono il vostro maiale da macello." Affermo a denti stretti.

Lui mi scruta come se avessi appena perso il lume della ragione, mentre in realtà il mio comportamento è perfettamente ragionevole.

"Non capisco il senso di stare a digiuno. Non serve a niente un comportamento del genere, meglio approfittare di un pasto caldo finché se ne ha la fortuna." Dice lui sprezzante.

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