Capitolo XLIII

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Attraverso il corridoio di casa mia. Indosso ancora il pigiama e le pantofole. L'albero di Natale illumina alcuni angoli di buio.

Avanzo con passi piccoli e tremolanti. Non mi devo far prendere dal panico. La porta di ingresso viene percossa da un'altra ondata di spasmi.

Appoggio una mano sulla maniglia e mi sporgo in avanti per avvicinarmi allo spioncino. Non devo emettere alcun suono, non oso immaginare cosa potrebbe succedere se lo facessi. Chiudo un occhio e con l'altro tento di distinguere qualcosa tra il buio della notte.

Il mio cuore batte all'impazzata ed ho il terrore che questo basti ad attirare l'attenzione di chi stava bussando freneticamente alla porta.

Sposto la pupilla a destra ed a sinistra. Deglutisco e poi mi immobilizzo.

Una figura, non molto alta e non eccessivamente massiccia, si staglia nell'oscurità, con il viso immerso nell'ombra. Come in ogni incubo che si rispetti ci deve essere questo maledetto fattore, che è la motrice della mia paura.

"Piccola Shy, so che sei lì dentro." Sento i muscoli intorpidirsi e la pelle d'oca formarsi. "Avanti, apri la porta."

Ma col cappero che la apro.

Indietreggio e perdo l'equilibrio, cadendo rovinosamente sul pavimento. Istintivamente alzo lo sguardo e mi si mozza il respiro per lo shock.

Sulla mensola, posizionata a ridosso di una parete dell'atrio, le foto di famiglia sono coperte di sangue e sembrano...distorte. I sorrisi dei miei genitori si sono tramutati in ghigni sadici e l'espressione strafottente di Davis ora ha lasciato spazio ad una smorfia raccapricciante.

Ed io...non sono presente in nessuna fotografia.

"Il passato gioca brutti scherzi, non è vero?" domanda quella voce; è curioso come io non riesca a distinguere a pieno il suo timbro.

Mi aggrappo alla mensola e tento di tirarmi su. Il mio sguardo incontra qualcosa che non avrei mai e poi mai voluto vedere.

Vi è un foglio di carta incorniciato. Allungo la mano fino ad afferrarlo. Sento i miei occhi spalancarsi sempre di più ed incominciare ad inumidirsi.

Rileggo quelle lettere nella mia testa e poso una mano sulla bocca. In caratteri eleganti, la mia data di morte è impressa su di quel cartoncino.

"Che...che significa?" sussurro.

"Oh niente, è solo un giochetto." La sua voce ora sembra più vicina. Le mie mani prendono a tremare e la cornice finisce a terra, spaccandosi.

Mi volto con lentezza e noto che la porta è aperta. Non riesco a distinguere quella maledetta figura, è sfocata. Rimango per alcuni secondi a fissarla ed avverto sotto alle scarpe una sostanza appiccicaticcia, mi arriva fino alle caviglie.

Abbasso lo sguardo e reprimo un urlo. Il pavimento è ricoperto da uno strato di sangue. Di chi, non mi è dato saperlo. Fisso con orrore quel liquido e cado a terra per la seconda volta.

Preferivo di gran lunga quel maledetto fango.

Sollevo le braccia e le osservo con orrore. Le cornici continuano a sgorgare sangue, producendo numerose cascate dall'odore rivoltante.

Gattono all'indietro e, senza volerlo, mi rintano in salotto. Nella testa continuo a ripetere la data della mia morte, ormai passata da circa due anni. La mia vita, secondo cartoncino, si sarebbe dovuta interrompere ai miei quindici anni.

"Piccola Shy. Dove ti nascondi?" Una figura umanoide, dal viso indistinguibile, fa capolino nella stanza. Sembra di corporatura magra, ma non riesco a carpire nessun'altra fattezza. Io arretro il più possibile, finendo con le spalle alla porta finestra, che dà sul piccolo giardino di casa mia.

The Mirror of the SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora