Capitolo 6

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Si voltò verso di me con un sorriso grande quanto il mondo, ma sappiate che non era il solito sorriso ammiccante e seducente, era il sorriso di chi la sa lunga e di chi ti farà passare le pene dell'inferno. Esagero? Mai -forse ogni tanto, ma non ora-.
Sbuffai ed entrai nell'ascensore.
«Ma che piacere rivederti, amore!»
«Se lo ridici ti pesto»
«Come sono stati i tuoi sogni stanotte?»
«Ti pesto a sangue».
Si stava divertendo era evidente, io invece ero incazzata, si era introdotto in camera, aveva ascoltato i miei sogni -sensitivo?- e ora si permetteva pure di prendermi in giro? Che insolente!
Per tutto il tempo continuò ad assillarmi chiedendomi cosa avessi sognato, cosa stavamo facendo nel mio sogno, e se era come me l'ero immaginato. E se da una parte io continuai a sostenere che nel mio sogno lui non era passato nemmeno per sbaglio, dall'altra nemmeno lui cedette, continuando a sostenere che io avessi sognato di fare sesso con lui!
Che fosse vero o no, non mi era dato saperlo, dal momento che la mia testa era un buco nero, e dubitavo fortemente di essere così debole alle mille tentazioni (leggi:perversioni) che uno come lui offriva, ma anche se fosse stato vero non poteva mettersi a urlare in pullman che avevo sognato di farlo con lui! Non ci misi molto a perdere la pazienza e dopo l'ennesima battuta gli afferrai il polso con le unghie stringendo così forte da graffiarlo, non mollai la presa finché tra un ahia e un ahiaiai non giurò di smetterla. Era una tecnica per far tacere le persone che avevo perfezionato alle scuole medie e che mi era valsa il soprannome di Catwoman -inchinatevi! Muahahah!-.
«Sono un'esperta di graffi» dissi con orgoglio.
«Mh... ne ho conosciute molte» ribatté lui, con il tono di chi pensa alle vecchie scopate. Con un profondo sospiro mi lasciai scivolare sul sedile con in mente il solo desiderio di ucciderlo.
Per fortuna il viaggio in pullman non durò molto, a quell'ora il traffico era inesistente ed erano anche poche le persone che dovevano salire o scendere.
Mi avvicinai con lui alla porta dell'uscita, stava continuando a parlare ma io non l'ascoltavo più mentre alcuni ricordi del sogno riaffioravano prepotentemente tra gli altri pensieri e forse, solo forse, aveva ragione lui, la gran parte dei ricordi riguardavano il suo petto, le sue braccia, il suo collo teso, la sua mascella scolpita, i suoi capelli. Quando le porte si richiusero io rimasi dentro, lui invece scese e si girò subito per continuare a parlare, quando si accorse che non ero accanto a lui fece una faccia un po' seccata e al contempo divertita, non mi accorsi di niente finché il pullman non si rimise in movimento, sussultai e un vecchietto mi guardò malissimo, con un'espressione che diceva: "Alzheimer già a quest'età? Ah, le nuove generazioni!", cercai di far finta di niente, ma ormai era fatta, l'avrei aggiunta alla lista di figure di merda che tenevo nelle note del telefono -scherzo!-.
Non fu comunque un problema non essere scesa, l'altra fermata era vicina alla scuola tanto quanto quella, ed erano molti gli studenti che, se fosse stato un orario decente, sarebbero scesi con me. Dal momento che erano le otto, avevo tutto il tempo del mondo per godermi una colazione che mia madre aveva reso infernale. Andai nel bar "La Vipera" frequentato da tutti gli studenti mattinieri, era l'univo posto in cui ero abbastanza sicura che Soro non ci avrebbe mai messo piede, motivo? La sua ex ragazza, Samanta, era un'assidua frequentatrice del bar, e fino a l'anno scorso ci andavano sempre insieme, che cosa romantica! Direte voi, ma non lo era: lei gli metteva le corna e un giorno lui l'ha beccata là, a limonare come una furia con un ragazzo di quinta, lui si era infuriato e c'è chi dice che abbia anche picchiato il tizio e lanciato una sedia, personalmente non ci credevo, non mi sembrava il tipo da andare in escandescenza per una "cazzata" del genere, la chiamo cazzata perché, se lui aveva due paglia di corna, lei ne aveva un'infinità! La morale è che i due non si parlano più, almeno non in pubblico, io li avevo visti più di una volta nel cortile della scuola fare a gara per chi baciava meglio. Manco fossero due vip che dovevano inventare false storie per attirare l'attenzione! Certo, Federico era il più invitante (leggi:eccitante) ragazzo della scuola, ma nessuno si aspettava veramente che lui smettesse di farsi Samanta, la ragazza più troia (leggi: troia -si, avevi letto bene-) della scuola, solo perché avevano litigato.
Non so nemmeno perché vi ho raccontato questa storia.
In ogni caso, che fosse una storia vera o falsa, la leggenda narra che lui non mise più piede in quel bar.
Quando mi sedetti al tavolo il cameriere arrivò subito, era un bel tipo, sulla ventina, con i capelli rasati ai lati e un po' lunghi sopra, che teneva raccolti in un codino, io lo chiamavo stile barbone perché da piccola ne avevo visto uno con quella pettinatura, anche se poi ho scoperto che in realtà quello che indossava era un parka costosissimo, che quei due cani erano di razza e che quella chitarra non era per suonare stando seduto per terra ma per andare ad un corso con noto musicista. E prima che voi pensiate a me come ad una stalker, sappiate che era il figlio del capo di mia madre.
Ma sto divagando, di nuovo.
Il punto importante è che mi sorrise -il cameriere, non il finto barbone-!
Un bel sorriso, del tipo ti sorrido perché sembri una brava persona che sta avendo una giornata di merda, non del tipo ti sorrido perché mi obbliga il contratto!
Provai a fare la simpatica, cosa dovevo dire? «Certo che oggi fa proprio caldo, eh?» mia madre lo diceva sempre e poi finiva per passare un totale di minimo 10 minuti parlando con i camerieri.
«Già, sa com'è: l'estate!» non c'era molto entusiasmo nella sua voce, anzi; intuii che non aveva molta voglia di parlare, ma io non mi arresi, dentro di me scorreva il sangue di mia madre questo significava che potevo parlare con qualsiasi persona al mondo anche se non parlavamo la stessa lingua, anche se l'avevo appena incontrata su una panchina, bene io dovevo quella parte di lei che era in me, tutte le altre, come cadere ovunque, fare esclamazioni fuori luogo e finire di prepararsi in ascensore per non fare tardi, le avevo già trovate da tempo.
«Ehy! Guarda che non è una bella giornata per nessuno dei due, quindi potresti almeno fingerti felice come ho fatto io» per l'appunto: esclamazioni fuori luogo. Mentalmente mi misi una mano in testa per la disperazione, mia madre non avrebbe approvato. Ma il tizio sembrò lasciarsi andare, sbuffò e mi chiese cosa dovevo prendere, «un cappuccino e un croissant strapieno di cioccolato».
Lui sorrise e disse: «Affoghi i dispiaceri nel cibo?» più che dispiaceri erano insonnia e stalker, ma annuii comunque, disse che lo faceva anche lui, ma cercava solo di consolarmi, da sotto la camicia si capiva perfettamente che non era uno che si strafogava nel cibo per disperazione.
«Vado e torno» annunciò con una rinata vivacità anche se ancora un po' mogia.
Mangiammo insieme, o almeno io mangiai mentre lui stava seduto sulla sedia davanti alla mia parlando dei suoi problemi, era uno che si lasciava andare facilmente, ma non gli dissi che non ero una psicologa perché mi sembrava un po' brutto. Si chiamava Michele e si era da poco lasciato con la sua ragazza, lei diceva che la loro storia stava diventando troppo seria, ma lui non capiva il senso perché, e ora cito, "a che scopo mettersi insieme se non si vuole che sia seria, cioè! A 'sto punto vaffanculo!" date retta a me, l'ultima parte non la pensava veramente!
Sembrò deluso quando alla fine me ne dovetti andare, ma erano le 8:10, orario di entrata.

Autrice: salve!
L'ispirazione mi ha abbandonato e questo capitolo e il frutto della confusione, ma prometto che nel prossimo andrà meglio, quindi se state leggendo non abbandonatemi, vi pregooo! Piuttosto lasciate tante stelline e commenti per incoraggiarmi!
Adios!✨

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