Capitolo 20

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Il mattino seguente non lo incontrai, quando raggiunsi la fermata lui non c'era, evitai persino di salire sul pullman delle otto, quello che prendeva sempre, sperando che quel giorno prendesse quello dopo.
Non prese nemmeno quello.
Improbabile che fosse arrivato prima del solito, non era tipo da "anticipi".
Così mi ritrovai a sperare che avesse deciso di saltare la prima ora, e, dato che era latino, non era poi così assurdo. 
Non c'è bisogno che dica cosa non accadde.
Così mi ritrovai ad ascoltare Francesca e ad annuire ad ogni sua affermazione, lei continuava a parlare a macchinetta, nonostante le continue occhiate minatorie della prof.
Non è che non avessi voglia di sentirla blaterare, e che proprio quel giorno non avevo molta voglia di chiacchierare, tra l'altro non era lei che si era arrabbiata perché avevo "per sbaglio" lasciato suo fratello?
«E poi mentre salivo ho visto Enrico sulle scale, credo di aver perso un battito, oggi era davvero magnifico, ehy, Sara? Mi stai ascoltando?» mi chiese ad un tratto, strattonandomi con aria incazzata, poi il suo viso si raddolcì e con voce compassionevole mi chiese: «Ti manca Matt?»
Fui io a perdere un battito in quel momento.
«Uhm?» chiesi sperando di aver capito male, lei, fregandosene della prof, si girò verso di me e prese la mia mano tra le sue.
«A me puoi dirlo, Sara, lo sai» per un attimo pensai di parlarle di quei sentimenti contrastanti e odiosi che provavo per Fede, ma scartai rapidamente l'idea non appena nominò suo fratello, «Matt ti manca, si vede e anche tu manchi a lui, spero che le cose tra di voi si risolvano»
A quel punto la professoressa non poteva più sopportarla e ci cacciò fuori dall'aula, appena ci chiuse la porta, rigorosamente in faccia, Francesca scoppiò a ridere e anche se non capivo cosa ci trovasse di divertente, iniziai a ridere con lei, dopo che le fu saltato un polmone -giuro di averlo visto correre-, trasse un profondo respiro e con un mezzo respiro ricordò l'ultima volta che eravamo state cacciate dall'aula: «Eravamo in terza media, ti ricordi?» ridacchiò, «assurdo! Stavamo litigando per dividerci il banco!»
Come dimenticarselo!
Una Francesca sempre bionda e boccolosa e sempre perfetta nei suoi vestiti da bambolina.
«Certo che litigavamo, tu mi relegavi nell'angolo!» le feci notare divertita.
«Wow! "Relegare", che paroloni, hai sfogliato un dizionario?» le diedi una gomitata e lei ricambiò con una leggera spintarella prima di sedersi sul davanzale.
«La bidella non vuole» le dissi
«Chi se ne frega della bidella, siediti e zitta» come rifiutare un invito così cortese. «Come mi mancano quei tempi, era tutto meno complicato» già,
«io ero più magra, tu più simpatica» e fino a qui il discorso non aveva senso, lei era ancora magrissima e io diventavo di giorno in giorno più simpatica, -voi ovviamente sarete d'accordo con me-, «Enrico non era così bello...» e non ne aveva nemmeno qui, perché, parliamoci chiaro: chi cazzo era Enrico?
Quando glielo chiesi lei si mise a ridere, stupita del fatto che io non lo sapessi, beh, pare che Enrico fosse quel ragazzo bellissimo, con il ciuffo e gli occhi castani, faceva nuoto e aveva un fisico scolpito, lo sapeva anche se non lo aveva mai visto senza maglia, perché, e ora cito:"Andiamo, tutti i nuotatori sono sexy!".
Secondo questa descrizione Enrico potrebbe essere il vostro vicino di casa, il nerd che prendete in giro, oppure quel ragazzo spagnolo di cui tutte noi ignoriamo l'esistenza.
Quando le feci notare che la metà dei ragazzi della nostra scuola corrispondeva alla descrizione, lei negò: «Non hai capito niente allora! Enrico è il ragazzo più bello del mondo, letteralmente! Mai la terra ha conosciuto ragazzo più affascinante, dal sorriso più incantevole e quale gioia è per chi posa gli occhi su di lui, quale grazia divina mi è stata concessa nell'incontrarlo questa mattina, quale piacevole tortura l'amore ceco che provo per lui» disse, parlando come se fosse direttamente ispirata da una Musa dell'antica Grecia, il che ci fece ridere, ma poi mi resi conto che quel sentimento che lei aveva così esattamente descritto combaciava a quel lontano pensiero astratto che io nemmeno riuscivo a formulare e che nemmeno volevo ascoltare.
Il tutto poteva essere riassunto in una semplice equazione: Enrico sta a Francesca come Fede sta a Sara.
E iniziai a odiarmi per quell'ammissione così vera.
Le ore successive ci impegnammo a non essere cacciate dalla classe un'altra volte e al suono della ricreazione Francesca si volatilizzò, mi salutò velocemente e corse via dalla classe, io, invece, cercai il portafoglio dentro la borsa e poi uscii dalla classe.
Feci appena in tempo a fare due passi verso il corridoio che mi sentii chiamare.
Una voce dolce e calda, che mi accarezzava la pelle e mi faceva venire i brividi, era sempre stato così, sin da quando ero piccola, mi ero innamorata di lui per questo, ma ora non sentii niente.
Soltanto una voce che pronunciava il mio nome, ma non la voce che avrei voluto sentire.
Mi girai lentamente verso di lui, mi sembrò più bello del solito, come se si fosse fatto bello solo per me.
«Ti devo parlare, potresti venire con me?» disse, ed ebbi la sensazione che avesse provato questa frase cento volte davanti allo specchio.
Feci cenno di sì con la testa, mentre già pensavo ad ogni possibile via di fuga, probabilmente avevo la faccia di un pesce che non capisce cosa gli stia succedendo in torno.
Si avvicinò a me a passi lenti e mi prese la mano.
Dov'erano i brividi, i battiti accelerati, il mondo che girava e tutto che spariva per fare spazio solo a lui?
Non c'erano.
Perché non c'era più sentimento.
Non l'amavo più, ma lui amava ancora me.

Autrice: salve lettori, spero che mi perdoniate per l'immenso ritardo, giuro che mi impegnerò affinché non accada più.
Spero che questo capitolo, per quanto corto, vi piaccia, se si lasciate una stellina, se no lasciatela lo stesso.
Al prossimo capitolo💕
PS: passate a leggere la mia nuova storia "Strangers".

Il Migliore Amico Del Mio RagazzoWhere stories live. Discover now