Più reale del letterale - I

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Sessantasette anni. 

Mezzo secolo è passato, eppure l'ho subito riconosciuto. Chinato lì, piegato su se stesso e retto solo da gracili gambe, più in bilico che salde, la sola anima viva in tutto quel prato verde. Era intento a raccogliere qualcosa. Il lavoro lo impegnava molto, era tanto concentrato che nemmeno mi ha sentito quando mi sono avvicinata. O quando l'ho chiamato.

«Jeremiah? Jeremiah, sei tu?» 

Una capoccia raggrinzita si è girata lentamente nella mia direzione, una tartaruga rugosa ha sollevato il mento quel poco necessario per osservarmi in viso e vecchi occhi stanchi si sono ristretti per proteggersi dal sole. 

«Sono io, sono Annabel Hughes. Non mi riconosci?» Un inutile cenno del capo e un sorriso di incoraggiamento per spronare la sua mente dormiente a far girare gli ingranaggi. Chissà quanta ruggine in soffitta.

«Eravamo insieme al liceo, nella stessa classe. Non ti ricordi?» Il silenzio suonò come un fischio nelle mie orecchie. Era proprio impossibile, non potevo credere che quella prugna raggrinzita accovacciata ai miei piedi fosse lo stesso ragazzo e uomo che aveva fatto strage di donne. Ai tempi.

La quinta ruga delle sue borse stanche ha osato stiracchiarsi, non so se per uno spasmo dei muscoli ormai appassiti o per genuino ricordo spolverato.

«Bibi?» Un fiocco di neve sarebbe stato più pesante della sua voce.

«Bingo!» La cartapesta del suo viso si spiegazzò ancora un po'. Ti prego non perderti nella nebbia ora che ti ho ritrovato. «Grazie al cielo e al Signore, temevo di aver sbagliato persona» mentii. Si aprì una faglia tra le sue labbra inesistenti, mi fissò sornione per un tempo indefinito e tornò al suo lavoro. 

«Non avrei mai pensato di trovarti da queste parti. Avevo capito fossi emigrato in Argentina.» 

Il silenzio si fece di nuovo spazio tra di noi e si piazzò come un mafioso a capotavola. 

«La Guerra sucia può far cambiare idea» commentò all'improvviso.   

«Come dici?» Sembrava così perso nel suo mondo, spento e abbandonato ai ricordi più dolorosi. 

«Ci sono stato, fino all'Ottanta.» Prese un grosso respiro prima di chinarsi profondamente fino a terra, le nocche appoggiate a sostenere un peso non indifferente, perno di una malandata piroetta straziante che lo depositò finalmente a terra. «Io, Abraham e quel matto di Emilio. Tutti scalmanati e stupidi.» Mi fissò indeciso, tentò di trovare il mio viso nella corona del sole abbagliante. «Stupidi e impavidi, ti dico!» Mi urlò come a nipoti disobbedienti. Capii di dovermi accomodare accanto a lui o non avrei compreso un tubo di quella storia. 

«Ma è stato orribile, la gente, los niños, il sangue delle torture.» Il vecchio Jeremiah si spense così come si accese. Fissammo nel vuoto per un po', ma il silenzio forzato non fece che spingerlo a continuare con il suo lavoro. Strappò un filo d'erba, ne massaggiò la punta con i denti anteriori e la sputò soddisfatto dopo un attimo di degustazione. Ne seguì un altro, strappò, assaggiò, posò a terra. E così via di buona lena.

Smisi di fissarlo ipnotizzata e tentai di riprendere un discorso meno macabro. «Cosa ti ha riportato da queste parti?» Sembrò non sentirmi, però, o forse mi ignorò di proposito. Lentamente si allontanò da me. Ti sei fatto una famiglia? Hai dei nipoti? Giochi ancora a scacchi? Che n'è stato degli altri del nostro anno? Avrei voluto chiedergli molte cose, avrei voluto cercare il vecchio Jeremiah in quella voce cavernosa, il vecchio cipiglio da inquisitore di anime in quelle moffole pelose che aveva al posto delle sopracciglia. Ma forse non gli andava di ripercorrere una vita carica e sgualcita. Mi hai più amata? Mi hai più pensata? Rivolsi il mio sguardo nella sua direzione, sistemai una riga storta dei calzettoni e lisciai una pieghetta del maglioncino, mani tumefatte di stanchezza in grembo, espressione seria e cuore pronto alla delusione. «Jeremiah, tu mi hai più...»

«Passami la ligadura.» Rimasi interdetta, la domanda sulla lingua, il cervello più fuso di quel ch'era già. «Bibi, il legaccio» esortò con una punta di impazienza. Come un cane stupido fissai curiosa l'indice con cui puntava, tremolante di vecchiaia, nella mia direzione. L'occhio mi cadde sulle stringhe delle scarpette in pelle. Da lì, di fronte alle punte, sul terreno brullo e battuto, dove giaceva storto e contorto un mazzetto di legacci per piante, di quelli in gomma verde che si trovano in gomitoli. Lui li aveva già tagliati e raccolti insieme, pronti da usare. Ne presi uno e tentai di allungarglielo. Lui si alzò come una lumaca per affrontare quei cinque centimetri in più di aria tra la mia mano e lui stesso. Poi riprese posto, si riportò in braccio un mazzo d'erba e fece per legarlo insieme finché la lunghezza della gomma glielo concesse.

«Che stai facendo?» Solo allora notai tutti i mazzi verdi alle sue spalle, accatastati come fuscelli di legna destinati al fuoco del camino.

«Lego esa hierba.» Il suo tono paziente e l'espressione posata da monaco tibetano erano fastidiosi più di quella vipera di mia nuora. 

«Scusa, Jeremiah, ma a che ti serve? Hai dei conigli?» La sua risata gutturale mi spaventò, poi mi contagiò. 

«Sto facendo dei fasci per differenziare l'erba.» 

«E perché assaggi ogni filo?»

«Sennò come farei a capire in quale mucchio metterla?»

«Eh, non lo so, è tutta uguale.» 

Jeremiah interruppe la sua attività. «No, Bibi. Non è tutta uguale.» Mi trapassò con uno sguardo di un'intensità che mi fece provare i fremiti di una giovinezza sfiorita da tempo. «Alcuni fili sono più acidi, più saporiti e succosi, sanno di cedro giovane. Altri sono amarognoli e duri, maturi. Questo, per dire,» strappò un filo con vigore e se lo mise in bocca «è peffo, ma un po' appaffito.» Sputò con delicatezza. «Essendo così diversi, tu ne faresti di tutto un solo fascio?»

La sua mente era meno annebbiata e vacillava meno di quanto avessi pensato, mi aveva affascinata, sedotta e rapita come una giovane indifesa e ingenua. Come discutere con un carisma del genere? Lo osservai maneggiare i mucchietti con cura, prestava al suo lavoro una dedizione e una perizia da invidiare.

Sessantasette anni. In un colpo, non so nemmeno quando passò tutto quel tempo. Io ero lì, incantata e drogata, intenta a fissare un povero vecchio rimbambito assaggiatore d'erba, con il cuore a mille, la mente in subbuglio e l'anima che riscopriva l'amore.  



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"Più reale del letterale" ha l'intento di essere una nuova mini rubrica in questa raccolta di racconti. Il titolo è mio, non è una tecnica di Rodari, ma l'ispirazione derivata dal suo lavoro giace comunque qui da qualche parte, sotto le parole e tra le lettere. "Fare di tutta l'erba un fascio" è solo uno dei vari modi di dire che tutti conosciamo, ma che siamo soliti interpretare in modo meno... letterale.

Facciamo come RodariDove le storie prendono vita. Scoprilo ora