Capitolo 6.

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Il treno proseguì la sua corsa per altri tre giorni. Sembrava che non si volesse fermare più. Sembrava che li stesse portando all'altro capo del mondo.

I vagoni tanto innocui all'esterno, nascondevano un'innumerevole sofferenza al loro interno.
Era un supplizio che non aveva fine.
Nate, come tutti gli altri, aveva sete.
Il desiderio di dissetarsi parve avverarsi quando il quarto giorno, il treno si fermò, i portelloni si aprirono, e all'esterno, apparirono dei soldati con dei secchi d'acqua. I secchi però vennero gettati con noncuranza addosso alla gente.
Inevitabilmente, l'acqua cadde a terra e bagnò i prigionieri. Anche Nate venne bagnato e non poté far altro che cercare di portarsi quell'acqua alla bocca, almeno per rinfrescarla. Dopo questo ignobile gesto i soldati richiusero il portellone e fu nuovamente buio. Nate, come nessuno lì dentro, capì il senso di ciò che era appena successo. Gli avevano fatto vedere l'acqua, come se questo bastasse a soddisfare la sete, e poi l'avevano gettata per puro divertimento. Nathan sentiva la gola tremendamente secca e anche parlare era diventato arduo e doloroso.
Al dramma della sete si aggiunse quello della fame. Non un solo pezzo di pane era stato consegnato. Se non per lui, Nathan chiedeva da mangiare per il piccolo Abram. Il bambino era quello che probabilmente soffriva di più lì dentro. Nate era riuscito a farsi dire il nome e poi, il bambino non aveva pronunciato più nulla. Era dolcemente accovacciato tra le sue braccia, quando dormiva Nate lo osservava e si chiedeva come facesse a trovare una tale tranquillità in tutto quel macello. Ma Nate capì che quella di Abram era solo calma apparente. Infatti, il piccolo si svegliava di soprassalto, spaventato e turbato. Probabilmente l'incubo della fame era andato a fargli visita.
L'aria era sempre più gelida, oltre che fetida e irrespirabile, per via degli escrementi.

Quando, durante il settimo giorno di marcia, il treno si fermò, nessuno poté crederci.
I portelloni si aprirono e dinanzi a Nathan si mostrò una confusione più grande di quella della ferrovia di Lione.
Vi erano una moltitudine di soldati schierati. La fila di soldati era lunga quasi quanto tutto il treno. Nate riconobbe lo stesso ufficiale panciuto che aveva visto a Lione poco prima della partenza, ma ad affiancarlo stavolta ce n'erano tanti altri.
I prigionieri cominciarono a scendere dal vagone con rapidità e con voga. Alcuni correvano, altri spingevano.La priorità di tutti in quel momento era abbandonare quella gabbia fatiscente. A Nate parve una raccapricciante gara verso l'ossigeno, e verso un'apparente libertà.
Nathan rimase immobile, completamente inerme per lunghi istanti ad osservare quella fuga verso la trappola. Perchè secondo lui si trattava proprio di una grande trappola. Là fuori c'erano degli uomini che li avrebbero messi in un'altra gabbia, magari ancora più piccola e angusta.
Abram lo risvegliò da quello stato di inerzia, scuotendogli delicatamente la gamba.
-Che c'è piccolo?- gli chiese Nathan.

-Mamma.- rispose semplicemente il bambino con la sua tenera voce bianca frantumata dalla disidratazione.

Gilb, intanto, aspettava Nate nel bordo del vagone. -Coraggio Nate! Dobbiamo uscire!-

Nate annuì, prese in braccio Abram e si avvicinò al suo amico.
Sporgendosi dal vagone, avvertì una brezza leggera ma gelida che lo fece trasalire.
Gilb li aiutò a scendere, mentre notò che Abram indicava qualcuno tra la folla.

Nathan e Gilbert si mossero nella direzione indicata dal piccolo, senza essere sicuri di cosa stesse effettivamente indicando.

Intanto la folla si stava diradando, i soldati la stavano dividendo in grandi gruppi e poi li portavano via.
Questo spinse a Nate a sbrigarsi, dovevano trovare la madre del bambino che, in qualche modo, al momento della partenza era entrata in un vagone differente.

Improvvisamente, intravide una donna che si faceva spazio tra la folla. Nate fece qualche passo e poi non la vide più. Si fermò e si guardò intorno. Abram aveva abbassato il braccio.

Dopo qualche secondo la donna riapparve, aveva la fronte corrugata, il viso rigato dalle lacrime e un' espressione in cui si poteva leggere chiaramente la disperazione.

-Abram!- sbraitò la donna.

-Ecco qui la tua mamma.- sussurrò Nathan al bambino che gli sorrise dolcemente, mostrandogli quei pochi dentini. Fu un sorriso che difficilmente Nate dimenticò.
Poi si avvicinò e consegnò il bambino alla donna che lo ringraziò con un abbraccio.
La donna fece per allontanarsi. E Nate, che intanto aveva miracolosamente e inspiegabilmente trovato anche lui la forza di sorridere di fronte a quella scena, rimase lì immobile con Gilb. I due non sapevano dove andare.

Era passato poco tempo e metà della folla che popolava il binario era già stata portata via.
Nate vide in lontananza una lunga fila di furgoni parcheggiati uno di fianco all'altro. Gruppi di persone scortate da una decina di soldati venivano caricate al loro interno.
Questo significava che il viaggio non era finito.
Nate avrebbe tanto voluto sottrarsi a questa situazione. Ma guardandosi intorno non vide nessuna via di fuga. Le SS erano ovunque.
Guardò con più attenzione i gruppi che venivano caricati all'interno dei furgoni, e notò che in uno erano tutti uomini, in un altro solo donne, e in un altro ancora bambini e anziani insieme.
Nathan capì, e si sentì gelare il sangue. Il suo pensiero andò subito ad Abram.

Una grande confusione proveniva dalla sua destra. Quando si voltò vide dei soldati che si facevano spazio con delle mazze. Sentì poi delle grida disperate e il pianto di un bambino.
Un impulso spinse Nathan ad avanzare verso quelle urla.
La figura di un bambino sollevato da delle braccia spiccava tra folla. Era Abram.

Un soldato teneva stretto il bambino per le braccia, la madre invece lo tirava per le gambe. La povera creatura strillava.
La madre non voleva cedere, era il suo bambino e lo aveva appena ritrovato.

Nate corse istintivamente verso il soldato, e senza che quello potesse accorgersene gli assestò un pugno con tutte le forze che gli erano rimaste. Il soldato cadde a terra.

-Corri!- urlò Nate alla donna che intanto aveva riafferrato Abram.
Poi cominciò a correre. Ma verso dove? Non c'era scampo.

Un soldato si avvicinò e abbatté la donna in corsa con un possente colpo di mazza nella mascella.
Qualcosa partì verso l'alto: forse denti, o forse sangue.

La donna non si rialzò più, il bambino venne preso e in pochi secondi Nate non lo vide più, ma poté sentire ancora il suo lamentoso pianto.

Nathan avrebbe voluto intervenire di nuovo. Ma qualcosa lo tratteneva.
Una mano afferrò la sua spalla, e quando si voltò vide il soldato che aveva colpito poc'anzi. Quello, furibondo, si vendicò con un potente destro.

-Questo è forte.- disse il soldato.-Portatelo con quegli altri.-

Nathan venne preso e gettato dentro un furgone con brutalità.

1943. Tre Passi per Sopravvivere.Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang