Capitolo 10.

990 79 13
                                    

La notte prima, l'incubo non gli aveva permesso di chiudere occhio. Immerso nei suoi cupi pensieri, Nate venne distratto da un sussurrìo leggero ma facilmente udibile. Gli parve di sentire due francesi bisbigliare sopra di lui.
Parlavano del lavoro, o meglio, si lamentavano. Nate temeva che se avesse aperto bocca avrebbe svegliato di nuovo tutti i vicini. Ma se lui era in grado di sentirli, anche se a mala pena, forse anche loro avrebbero captato la sua voce se avesse bisbigliato.

Nate sussurrò una prima volta, ma nessuna risposta.
Provò una seconda volta e qualcuno dall'alto aveva risposto -Chi parla?-

-Sono francese- proseguì -Anche voi?-
Nate si rese conto della scontatezza della domanda, ma voleva assicurarsi che i suoi interlocutori lo sentissero bene.

-Sì.- confermarono insieme.

Nate avrebbe voluto sapere tante cose, ma in quel momento tutte le domande che avrebbe voluto fare sparirono dalla sua mente. Così chiese la prima cosa che gli passò per la testa -Dove ci troviamo esattamente?-

Con lo sguardo perso nel vuoto, Nate si concentrò solo sull'udito, per capire la risposta dei due.

-A Buchenwald.- rispose uno.

Un lampo sembrò attraversare la mente di Nate, mostrandogli una serie di immagini.
Si ricordò di diversi giornali che aveva distribuito per la città molti anni prima, che avevano come titolo quella parola: Buchenwald.
Si ricordò del suo libro di letteratura, di Goethe, del suo bosco, dell'albero sotto la quale amava scrivere. E poi gli passò per la testa, chissà come, forse lo aveva letto di sfuggita nei giornali, il significato: "bosco di faggio."

Nate pensò di non aver visto nessun bosco e nessun faggio da quando era arrivato lì.
Forse si stava sbagliando. Forse il posto che aveva in mente lui era un altro.

Nate ne aveva approfittato per chiedere come fosse il lavoro, quelli inizialmente risero, poi gli dissero soltanto: -Non fidarti di nessuno, neanche dei tuoi compagni.-
Nate non comprese, ma lasciò stare, e la cieca conversazione finì lì.

                                ***
Nate e Gilb non avevano idea di come funzionasse il lavoro all'interno del lager, e non si aspettavano di certo che qualcuno glielo spiegasse.
Il Kapo, ovvero colui che dirigeva il lavoro, era un criminale, uno che era stato internato per infrazioni di poco conto; sul petto aveva cucito un triangolo verde.
Nate aveva notato che di triangoli verdi ne era pieno tutto il campo. Lui li vedeva, di tanto in tanto, riunirsi per parlare, mangiare, fumare, ridere insieme. Tutto questo mentre gli altri detenuti prendevano sulle spalle carichi pesanti, scavavano grosse buche, trasportavano travi e spostavano massi.
Nate aveva imparato a riconoscere i privilegiati dalla loro mole. A stare bene, a mangiare regolarmente, forse anche più del dovuto, erano proprio loro: i criminali. Troppo grassi e troppo goffi per lavorare, se ne stavano seduti a guardare e a schernire chi aveva difficoltà.

Nate dopo tanto tempo aveva finalmente messo qualcosa sotto i denti. Aveva mangiato un piccolo pezzo di pane duro e stantìo, che gli era costato un forte scappellotto da parte dell'uomo che distribuiva le razioni. Nathan aveva imparato a sue spese che prima di ricevere qualsiasi cosa doveva mostrare il marchio stampato nell'avambraccio sinistro.

-Ci aiuteremo a vicenda.- affermò Gilb mentre marciavano verso il "cantiere" della nuova baracca. Proseguiva con lo sguardo rivolto verso il cielo, che con il suo color grigio piombo sembrava rispecchiare il suo animo annebbiato da turbamenti e timori che Nate gli aveva trasmesso, raccontandogli ciò che aveva scoperto la notte prima.

1943. Tre Passi per Sopravvivere.Where stories live. Discover now