Capitolo 18.

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Il frastuono della sirena arrivò puntuale come ogni mattina.
Il corpo di Nate ormai rispondeva automaticamente a quel suono. Tutte le sue azioni erano meccaniche, così come lo erano le giornate. Il programma da seguire non variava mai, ogni giorno era simile al precedente, perciò era facile perdere il conto dei giorni.
Cominciò la marcia verso il piazzale dove si teneva l'appello. L'impatto con la gelida brezza mattutina gli fece venire i brividi. Il vento era gelido e pungente e trasportava con sé un orribile fetore. Guardando verso il cielo Nate notò una nube nero-grigia che fuoriusciva da un grosso camino. Abbassò nuovamente lo sguardo e cercò di sopportare l'odore di carne bruciata.
Il freddo inturgidiva le ferite che Nate aveva sul viso. Gli faceva ancora male, seppur Ernest aveva cercato di andarci piano. Si portò una mano all'altezza del naso e si accertò che avesse smesso di sanguinare. 
Aveva riflettuto a lungo su quello che era accaduto la notte prima. Prima di salutarlo, Ernest lo aveva avvisato che la prossima volta sarebbe stato più cauto, che non lo avrebbe più messo in quella terribile situazione. Ma Nate era spaventato. E se fosse andata diversamente? E se gli avesse ordinato di sparargli? Ernest cosa avrebbe fatto? 
Nate era smarrito, confuso. A momenti temeva la sua vicinanza e in altri la desiderava. L'affetto che si erano scambiati la notte prima era sincero, di questo Nate ne era sicuro. E per quanto gli fu difficile accettarlo, capì che anche la sofferenza che aveva dovuto subire era una prova d'affetto, un modo per proteggerlo da una punizione molto più brutale che altrimenti sarebbe stata inferta ad entrambi. 

Nate capì che era domenica quando, una volta giunti al piazzale per l'appello, quest'ultimo era semi-deserto rispetto al solito. Solo alcune categorie di detenuti lavoravano anche la domenica, o comunque solo coloro che svolgevano incarichi particolari. 
Criminali e prigionieri politici avevano diritto al riposo, ma spesso e volentieri non era così per gli omosessuali, che del resto era la categoria più bistrattata tra tutte. 
Tra insulti e vessazioni, i triangoli rosa occupavano gli ultimi gradini della scala gerarchica dei detenuti.

A Nate non sfuggì che da un paio di giorni anche parte dei detenuti con cui lavorava di solito non c'erano, e non erano nemmeno previsti nell'appello. Tra questi c'era anche Brian, il suo connazionale. L'ultima volta che lo vide era il giorno dopo la morte di Gilb. Brian aveva provato a rivolgergli la parola ma a Nate non andava di parlare, lo aveva ignorato.
Che fine aveva fatto? Era forse morto anche lui?

Nate smise di domandarselo. Pensieri del genere di certo non lo aiutavano, anzi, avrebbero solo rallentato il suo lavoro. 
Era difficile però evitare i pensieri negativi, soprattutto quando a fine giornata si accorse che la costruzione della nuova baracca era quasi terminata. Nate pensò che presto molte altre persone l'avrebbero occupata. Pensò a quante ancora avrebbe dovuto costruirne, a quanto sarebbe diventato grande il lager un giorno e se lui per allora sarebbe stato ancora vivo.

A fine giornata si affrettò a tornare nel suo cubicolo, con in mente solo l'idea di mettere sotto i denti ciò che Ernest gli aveva procurato, quando qualcuno che parlava francese attirò la sua attenzione. La voce era familiare, così istintivamente si voltò.
Vide Brian disteso supino nella sua cuccetta, era completamente immobile, gli occhi fissati sul vuoto, e parlava da solo, dicendo cose che non avevano senso.

-Brian?- Nate lo chiamò, ma lui non rispose. 
Nate credette volesse ignorarlo come aveva fatto lui l'ultima volta, perciò insistette. Si avvicinò in modo tale che potesse vederlo. Cercò di catturare il suo sguardo in tutti i modi, ma Brian non reagiva,i suoi occhi immobili e vuoti esprimevano inerzia. Pareva aver perso ogni contatto con la realtà. 

Nate arretrò spaventato e si allontanò verso la sua cuccetta il più velocemente possibile.
Ciò che aveva visto lo aveva turbato, Brian non era più lo stesso.

Quella notte gli riuscì difficile mangiare. Il vicino di Nate infatti si svegliò improvvisamente e con un movimento brusco spostò la coperta sotto al quale Nate, rannicchiato, divorava del pane. Questo non sfuggì al vicino, che lo guardò sbalordito. -E questo dove l'hai rubato? Dammelo!-
glielo prese dalle mani e se lo infilò interamente in bocca. In quel momento Nate nascose il resto delle provviste, e aspettò che si riaddormentasse. 

Era ancora sveglio e si accingeva a tirare fuori il resto del cibo quando fu colpito da una luce lampeggiante proveniente dalla postazione della guardia. Era il segnale di cui Ernest gli aveva parlato la notte prima. Gli aveva detto che d'ora in poi avrebbero seguito metodi più sicuri.

Nate uscì dal cubicolo portandosi dietro anche le provviste, Ernest lo aspettò vicino alla porta e uscirono fuori. Il carro che offriva un ottimo nascondiglio era ancora lì, rapidamente si sedettero dietro di esso. 

-Non credevo che ti avrei rivisto così presto.- bisbigliò Nate con voce tremula.

-Neanche io Nate.- Ernest gli accarezzò il collo. -Stai tremando, hai bisogno di questa.- Si tolse la sua giacca pesante e la avvolse intorno a Nate. 

-Ho fatto di tutto per avere il turno stanotte. Dovevo vederti perché ho scoperto qualcosa.- il suo sguardo si incupì.

Nate notò sul viso di Ernest un lungo taglio che partiva dalla fronte e arrivava fino allo zigomo sinistro. 
-Che hai fatto qui?- chiese preoccupato.

Ernest sospirò. -Ho dovuto fare in modo che la guardia che era in turno stasera non fosse in grado di venire, così da poterlo sostituire.-

-Ernest ma... questo taglio è profondo. Cosa hai fatto esattamente?-

-Mi sono inventato un pretesto per fare a botte con un altro soldato, Oskar Braun, non siamo mai andati d'accordo io e lui, mi ha sempre considerato suo rivale. Era durante l'ora del rancio, non aveva armi addosso in quel momento, ma dovevo aspettarmi usasse il coltello.-

-Avresti potuto morire.- affermò Nate con tono di rimprovero. 

-Invece l'ho messo al tappeto, per poi raggiungere un compromesso.- 

-Quale?- 

-Se i nostri superiori avessero saputo della lite ci avrebbero punito entrambi. Così mi sono offerto di ricoprire il suo turno qui per una settimana e in cambio ho chiesto a lui di non raccontare la lite. Ciò significa per me fare doppio turno e non dormire più la notte, ma va bene così.-

-Non ci posso credere Ernest, avresti potuto farti male sul serio.-

-Ho dovuto correre questo rischio.-

-Se hai fatto una cosa del genere dev'essere urgente quello che hai da dirmi.- Nate capì dall'espressione di Ernest che non stava per dirgli niente di buono.

-Esatto.-sospirò. -Ho scoperto che stanno facendo degli esperimenti sui detenuti col triangolo rosa. Dicono che serva a curarli.-

-Curarci? Come è possibile?-

-Non lo so ma non fido. Da quel che ho visto, il risultato sembra tutt'altro che positivo.-

Nate sgranò gli occhi. Gli venne in mente Brian. -Oggi ho visto un ragazzo che è arrivato qui il mio stesso giorno, era scomparso da parecchio tempo e l'ho rivisto solo oggi, ma sembrava diverso, era strano. Si comportava...-

-In modo assente?  Come se ignorasse tutto attorno a lui?- completò la frase Ernest.  

-Esatto!-

-Ne sto vedendo parecchi così ultimamente. Molti sono morti nel giro di pochi giorni. Ho sentito dire che gli hanno fatto un buco nel cranio. La chiamano Lobotomia.-

Nate posò le sue mani su quelle di Ernest.
-Io non voglio essere così. Io l'ho visto, è terribile.- 

-Pare che non sia l'unico esperimento che pratichino. Alcuni vengono anche castrati. Molti si presentano volontariamente! Credono che ciò li possa guarire.-

-E una volta castrati li lasciano andare?-

-E' quello che quei poveretti sperano, ma no, sono tutti ancora qui.-

-Ma allora...che senso ha torturarci in questo modo?-

Ernest fece scivolare le proprie mani sul viso di Nate e lo accarezzò dolcemente. -Non ha importanza Nate, perché noi ce ne andremo prima che ti possano anche solo sfiorare.-

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1943. Tre Passi per Sopravvivere.Where stories live. Discover now