Capitolo 15.

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Il dolore provocato dalle scarpe malandate sembrò scemare alla sola consapevolezza che presto ne avrebbe avuto un paio nuove. A Gilb bastava questo pensiero per non buttarsi giù come era suo solito. Certamente in lui vi era la paura che questo Ernest non avrebbe mantenuto la parola, ma ci sperava comunque.
Nate e Gilb continuavano a trasportare materiali nel luogo della costruzione della nuova Ka-Be, e Gilb, dopo non molto tempo, preferì togliersi le scarpe per poi legarsele attorno al collo. 
Non era una mossa intelligente, e Nate glielo fece notare, ma c'era un tratto dove non vi erano ciottoli e dove il terreno, seppur umido, consentiva al piede un appoggio morbido. Così facendo si liberava da quelle scarpe strette e deformate e questo, almeno per un po', gli dava sollievo. 
Quando il sentiero ricominciava ad essere  impervio per via di piccoli frammenti di pietra acuminati, Nate e Gilb posavano il loro carico e Gilb rimetteva le scarpe, in modo da alleviare il dolore dei ciottoli, che comunque lo pungevano attraverso le suole consumate. 

I due andarono avanti così per tutto il tempo, era l'unico modo per provare meno dolore possibile. Ma questo modo di procedere li rallentò molto e nel tragitto erano di intralcio ad altri detenuti. 
-Devi velocizzarti Gilb!-disse Nate notando che gli altri detenuti erano stanchi di averli in mezzo ai piedi, ma soprattutto di vederli fermi mentre loro faticavano.  Uno in particolare aveva sputato addosso a Nate come segno di disprezzo.

-Non devi aspettarmi per forza Nate, tu va' pure avanti.- replicò Gilbert mentre ricreava il nodo di fil di ferro che teneva le due scarpe legate al collo.

-Sai benissimo anche tu che non riusciresti a trasportare una trave da solo, non in quelle condizioni. E poi se il Kapo dovesse vederci...-

-Lo so, ci pesterebbe, ormai ci ho fatto l'abitudine.
Ecco fatto.- 

Gilb e Nate ripresero il cammino e Nate decise che ad ogni sosta lo avrebbe aiutato a fare più veloce.
Gli sguardi degli altri detenuti si fecero sempre più aspri nei loro confronti e ogni volta che li vedevano fermi erano nascosti agli occhi del Kapo e delle guardie. 

L'aria che si respirava non era certo quella di solidarietà tra detenuti, Nate ormai lo aveva capito. Questi erano sempre in lotta tra di loro e solo in rari casi legati a conoscenze prima della detenzione si scambiavano favori, ma poi, più si andava avanti col tempo più diventavano egoisti, e i favori cominciavano a far parte del mondo dell'umanità, ormai estraneo ai veterani del campo.
Ciò che possedeva uno era causa di gelosia dell'altro, e ciò provocava conflitti. Questo valeva per ogni cosa: ciotole, abiti, pane. Dunque se uno si fermava a riposare allora tutti volevano farlo, ma non potevano perché se il Kapo non vedeva più nessuno poi si insospettiva.
Gli altri detenuti vedevano Nate e Gilb come due parassiti che si riposavano alle loro spalle, li vedevano come due scansafatiche che stavano aiutando, pur involontariamente, a riposare. 

Uno dei detenuti, quello che aveva sputato Nate, si fermò nuovamente a guardarli, ma stavolta non si limitò a sbeffeggiarli. Cominciò ad urlargli contro attirando anche l'attenzione degli altri, e del Kapo.
Nate tentò di spiegare, ma solo pochi erano in grado di capire il francese, e anche se lo capivano, non gli davano retta. 
Glib intanto era seduto a terra e si apprestava a legare le scarpe tra loro.
-Ascoltatemi, non ci stiamo riposando, si sta solo togliendo le scar...-  Nate non fece in tempo a finire di parlare che una pietra venne scagliata verso Gilb, colpendolo in pieno viso. 
Gilb urlò e si porto la mano all'altezza del naso, che cominciava a sanguinare. Intanto altri tre si avvicinarono a lui e gli sferrarono dei calci nel basso ventre. Gilb si accasciò, contorcendosi.
Nate tentò di intervenire ma venne subito respinto.
Il Kapo accorse con delle SS che, con il fucile in mano esortarono a tutti a riprendere il lavoro.
Non gli importava sapere cosa era successo, gli importava solo che i lavori erano stati interrotti.
Anche Gilbert, che a mala pena riuscì a rialzarsi, venne costretto a riprendere il suo carico e proseguire. 
Le SS erano più vigili ora, li sorvegliavano a distanza quasi ravvicinata e si assicuravano che nessuno perdesse tempo. 

Gilb però barcollava e tendeva a rallentare sempre di più. Ebbe l'istinto di lasciare andare il carico e riposarsi, anche solo per un istante, ma sapeva che quell'istante gli sarebbe costato caro. Tutta la volontà che aveva in corpo si concentrò nei punti in cui era stato percosso, e, un passo dopo l'altro, cercò di farsi forza, di non pensare al dolore che lo affliggeva. 

Nate era sotto pressione, le guardie erano ovunque e non poteva più stare al passo dell'amico, perciò si era portato avanti.
Non appena arrivò alla superficie rocciosa, sussultò. Istintivamente si voltò indietro per dare uno sguardo a Gilb, e cominciò ad imprecare tra sé e sé. In quell'istante si accorse che l'amico, una volta messo piede nel sentiero impervio, non ce l'avrebbe fatta. 
Restò fermo giusto qualche secondo, pensò di darsi da fare in qualche modo ma una SS gli urlò contro qualcosa di incomprensibile, anche se il tono era piuttosto eloquente. Doveva riprendere il cammino. 
Nate obbedì all'ordine e proseguì, mentre il suo volto si contraeva in un'espressione di angoscia.
Sperava che il suo amico sarebbe stato forte abbastanza da superare anche quell'ostacolo. Di tanto in tanto si girava ad osservarlo furtivamente, e notò che le rocce lo avevano rallentato ancora di più.  
Nonostante i piedi frastagliati e i dolori provocati dal pestaggio, Gilb continuava ad andare avanti. Se si fosse fermato, sarebbe stata la fine. Il dolore cresceva passo dopo passo, più andava avanti, più si faceva sentire. Tutta la sua volontà di lottare e di continuare era alimentato dal suo istinto di sopravvivenza, e seppur questo fosse molto forte non riuscì a tenerlo in piedi. Gilb cadde al suolo. Si rialzò tremolante con gli occhi delle SS puntati addosso e si apprestò a proseguire. 
Andò avanti per qualche metro prima di cadere di nuovo. 
Nate trasalì. "Forza, rialzati!", pensò.

Anche questa volta Gilb si tirò su ma, non riuscendo più a portarsi la pesante trave in spalla, si vide costretto a trascinarla. Non funzionava, cadde ancora. 
Stavolta però rimase seduto a terra, totalmente immobile e inerte. 

Nate non poté più resistere, fece per tornare indietro a dargli una mano, anche se sapeva che rischio correva.
Nel frattempo una SS non molto lontana scosse la testa e alzò il fucile, puntandolo verso Gilb. 

Nate non fece in tempo a reagire a quella scena.
Qualcun'altro sembrò farlo al posto suo.
Un'altra SS aveva richiamato l'attenzione del compagno  e con un cenno sembrava dirgli "Non farlo". Questo si avvicinò al compagno che aveva ancora il fucile puntato verso Gilb e glielo prese dalle mani.

Gliene porse un altro più grosso e con la canna più lunga e, sorridendo disse qualcosa che a Nate parve "Prova questo." 
Il soldato, con una autentica contentezza in volto, puntò e sparò. Gilb stramazzò al suolo.

Tutto fu così veloce e cruento che Nate non ebbe il tempo di reagire. Corse verso il corpo dell'amico e con le lacrime in volto lo osservò. Quello che gli avevano fatto era terribile. Avrebbe voluto urlare, ma come negli incubi peggiori, non ci riusciva.
Le SS si avvicinarono, trascinarono via il corpo e affidarono a Nate la trave di Gilb affinché la trasportasse. Questa era cosparsa del suo sangue. Nate dimostrò riluttanza ma le SS lo percossero fin quando non fu costretto ad obbedire.

Quando Nate fece ritorno alla baracca notò infondo al cubicolo, in un angolo buio e nascosto, un paio di scarpe nuove.
















1943. Tre Passi per Sopravvivere.Where stories live. Discover now