Capitolo 22.

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Ernest e Nate ripresero a viaggiare più rapidi di prima. Grazie alla neve, avevano trovato il modo di alleviare il dolore delle ustioni, e ciò gli consentì di mantenere un passo più spedito. 
Il costante movimento li inibì, almeno in parte, dall'ondata di gelo che quella mattina colpiva la montagna. 
Dall'ultima volta che si erano fermati sotto la quercia erano passate circa sei ore, da quel momento in poi la neve gli aveva sempre accompagnati nel loro cammino e solo ora, che stavano ridiscendendo la montagna, sembrava diradarsi gradualmente. 

-Hey, fermati! Lì c'è una casa!- disse Nate allarmato indicando un edificio a non molti metri da loro. 
Ernest, istintivamente, si nascose dietro il tronco di un albero, invitando anche Nate a fare lo stesso.
Fino a quel momento non avevano incontrato nessuno, se non qualche animale. Era di vitale importanza non farsi vedere da nessuno e non farsi riconoscere da qualcuno che avrebbe potuto dare indicazioni ai nazisti. 

Ernest si avvicinò molto lentamente all'abitazione, rimanendo nascosto nella vegetazione. Nate lo guardò scettico, e si chiese se Ernest fosse uscito di testa.

-Sei impazzito?- disse sottovoce Nate sapendo che Ernest sarebbe stato capace, se non di sentire, di leggere il labiale. 
Ernest, sempre acquattato, tornò indietro dal suo compagno.

-Credo che si tratti di un rifugio di cacciatori, ma sembra disabitato.- 

-Come fai a dirlo?-

-In una giornata fredda come questa da quel camino starebbe sicuramente uscendo del fumo se qualcuno fosse dentro.- 

Anche Nate osservò con più attenzione. -Già, hai ragione. E guarda, non ci sono finestre.-

-Esatto, probabilmente il vento le ha distrutte.-

-Sarà.- disse Nate. -Ma non fidarsi è la scelta più saggia, proseguiamo!-

Ernest sì spostò dall'albero dietro al quale erano nascosti e si mosse verso la casa.

-Ma sei impazzito? Ti vedranno! Stai giù!- lo esortò Nate.

-Non ci andrei se non fossi sicuro che è disabitata! Magari là dentro c'è qualcosa che potrebbe servirci. Fidati di me.-

Nate sbuffò, alla fine cedette e lo seguì.
Più si avvicinavano, più l'edificio appariva malconcio e fatiscente.
-Visto? Te l'avevo detto!- affermò Ernest che con un sorriso audace punzecchiò Nate.

Il portone di ingresso era di legno, molto grande e appariva rovinato dal tempo. A Ernest bastò un calcio per aprirlo.

Entrarono in una stanza molto grande e spoglia, tutto quello che un tempo c'era lì dentro , era indubbiamente stato portato via, fatta eccezione di un lungo tavolo di legno posto vicino al camino e una credenza malridotta nel lato opposto della sala.
Ernest si mosse verso la credenza e aprì ogni cassetto, ma erano tutti vuoti. 

-Davvero tante cose che potrebbero esserci utili...sì.- Nate provocò il compagno a sua volta.

Ernest lo guardò con imbarazzo. Sembrava amareggiato per il fatto di aver trovato tutto desolato e niente di utile. -Non abbiamo ancora guardato il piano di sopra!- esclamò speranzoso.

Salirono le scale e si ritrovarono in un  piccolo corridoio con due sole porte.
Aprirono la prima e ciò che trovarono fu una dozzina di sedie accatastate, una branda e un mobile senza cassetti, nulla di più.

-Qui non ci viene nessuno da anni.- osservò Nate. -Andiamocene.-

-Aspetta, controlliamo quest'altra.-

Ernest aprì la seconda porta, e si trovarono davanti a quella che sembrava essere a tutti gli effetti una camera da letto.
Il letto era in pessimo stato, il materasso sciupato e logorato dal tempo. Sistemato di fronte al letto c'era un grande armadio di legno, e affianco all'armadio c'era uno specchio.

Nate fece qualche passo avanti e si fermò dinanzi allo specchio.
I suoi occhi si intristirono improvvisamente. Si portò una mano al viso e ne ripassò i lineamenti con un dito.
-Sono davvero diventato così?-
Nate non osservava la sua immagine riflessa allo specchio da moltissimo tempo. La sua figura, un po' smagrita e piena di lesioni, lo ammutolì.

Ernest si avvicinò a lui e avvolse le braccia intorno alla sua vita.

-Mi sembro una persona diversa.- disse Nate continuando a toccarsi le cicatrici.

-Hai visto? Abbiamo una cicatrice simile. Proprio qui.- Ernest indicò la cicatrice che si era procurato vicino all'occhio, e quella di Nate, proprio nello stesso punto, ma meno accentuata.

-Hai ragione, non ho idea di come me la sia procurata.-

-Ormai non ha importanza. Non te ne procurerai più.-

Nate gli rivolse un sorriso triste attraverso lo specchio.

-Hey, le cicatrici sbiadiranno, i capelli ricresceranno, tornerai ad essere te stesso tra qualche tempo. E poi... io ti trovo bellissimo in ogni caso.-

-Questo...questo non sbiadirà.- disse Nate mostrando il tatuaggio che lo marchiava come Häftlinge sull' avambraccio destro.

-Quello non è altro che un numero che ora non ha più nessun significato.- Ernest riabbassò la manica di Nate per coprire il tatuaggio.

Nate non seppe come reagire a quelle parole. Si accorse però che Ernest aveva la straordinaria capacità di rasserenarlo sempre.

-Ho davvero bisogno di stendermi.- disse Nate liberandosi dalla presa di Ernest per poi afferrargli la mano.

Si lasciò cadere sul vecchio materasso, tirandosi indietro Ernest.

-Penso che riposeremo qua, ma solo per poco, la Svizzera è ancora lontana.-  affermò il soldato, girandosi verso Nate per accarezzargli dolcemente la testa.

Ernest rivolse ancora uno sguardo verso lo specchio.
-Sai non sei l'unico ad essere cambiato molto da quando ha messo piede nel lager. Anche io ero molto diverso un tempo.-

-Perchè? Com'eri?- chiese Nate incuriosito.

-Meno tedesco di quanto non lo sia ora.-

Nate aggrottò le sopracciglia in segno di incomprensione.
-In che senso?-

-Mia madre è svizzera, di Dübendorf, dove ho vissuto fino a 13 anni. I miei ci tenevano che io e miei fratelli avessimo una buona istruzione, perciò ho studiato in una delle migliori scuole ed ho imparato il francese.
Mio padre invece è tedesco, ha intrapreso la carriera militare in Germania e ci siamo trasferiti. A quell'età non avrei mai immaginato che anche io avrei dovuto seguire le orme di mio padre e che sarei diventato un soldato che serve il Terzo Reich.-

-Se avessi potuto scegliere cosa avresti fatto?-

-Tutto l'opposto di ciò che riguarda la vita militare.
Avrei studiato per diventare un medico. In Svizzera le università sono molto buone.-

-Sei ambizioso.- osservò Nate.

-Ero.- lo corresse. - La guerra ha mandato in fumo tutti i miei progetti.- 

-Una volta tornati in Svizzera potrai ricominciare da capo, potrai sstudiare.- osservò Nate speranzoso.

-Sì ma non sarà più la stessa cosa. Ormai sono cambiato, non sono più lo stesso ingenuo ragazzino sognatore di prima. Ho passato brutti momenti che mi hanno segnato. La morte di mio fratello è stata uno di questi.-

-Entrambi abbiamo cicatrici che non si rimargineranno mai.- affermò Nate pensando a Gilb.

Ernest non poté che dargli ragione.
-La guerra lascia un segno profondo. Il dolore che abbiamo provato per le nostre perdite ce lo porteremo avanti per tutta la vita. Così come per tutta la vita mi porterò avanti la gioia di aver trovato te.-

Nate gli sorrise. Chiuse gli occhi e, avvolto dalle braccia del suo compagno, cercò di riposare un po'.

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Salve gente! Ne approfitto per augurare buon anno nuovo a tutti coloro che oggi leggeranno questa parte ✨💕 
Alla prossima ❣️

1943. Tre Passi per Sopravvivere.Where stories live. Discover now