Canto XXXIII

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CANTO XXXIII

La bocca sollevò dal fiero pasto

Quel peccator, forbendola a' capelli

Del capo ch'elli avea di retro guasto.

(Inferno XXXIII 1-3)

Clarissa mi condusse in una sala gremita di gente e riuscì ad arrivare alla cattedra, dov'era seduto un uomo straordinariamente magro, intento a riordinare dei fogli. Quando alzò lo sguardo, sussultai. I suoi occhi erano due pozzi senza fondo di oscurità.

La conferenza era evidentemente appena finita, perché la gente se ne stava andando.

-Mi scusi? – disse Clarissa.

Lui la guardò con un sorriso spettrale.

-Mi dispiace, siamo appena arrivati – spiegò Clarissa. – Ma il mio amico le sarebbe molto grato se lei potesse fermarsi cinque minuti per raccontargli la...la sua...

-Esperienza? – le venne in aiuto l'uomo.

Clarissa annuì e l'uomo spostò il suo sguardo su di me.

-Tu vuoi che io rinnovi un disperato dolore – disse – che mi opprime il cuore solo pensandoci, anche senza parlarne. Ma se le mie parole devono essere il seme che frutterà infamia a quei traditori, mi vedrai parlare e piangere insieme.

Mi inchinai brevemente. – Farò il possibile perché non venga dimenticato nulla.

-Io non so chi tu sia – disse – né per quale motivo tu sia venuto qui, ma quanto ti sento, mi sembri fiorentino.

-Lo sono.

-Anch'io. Il mio nome è Iacopo Caccianemico, e ora ti dirò cosa mi è successo. Non c'è bisogno di spiegare come Hitler salì al potere nel 1933, di come voleva purificare la razza eliminando tutti coloro che non vi appartenessero, e di come Mussolini si alleò con lui, condannandoci tuti. Sappi solo che per l'effetto dei suoi malvagi pensieri fui catturato e internato nel campo di concentramento di Auschwitz in attesa della morte. Non puoi sapere come la mia prigionia fu crudele; perciò ascolta, e saprai se mi hanno spezzato. Gli interstizi del filo spinato, che per me ora ha il nome della fame, e che non bisogna permettere che rinchiuda mai più nessuno, mi avevano mostrato già più mesi, quando io feci l'incubo che mi squarciò il velame del futuro. Hitler mi pareva maestro di caccia, spingendo un lupo e i lupacchiotti verso Monte San Giuliano. Aveva mandato avanti, con cagne magre, addestrate e bramose, i suoi ufficiali. Dopo una breve fuga, i padri e i figli mi parevano stanchi, e mi pareva di vedere le zanne delle cagne fendere i loro fianchi. Quando mi svegliai prima dell'alba, sentii piangere nel sonno i miei figli, che erano con me, e chiedere del pane. E quando si svegliarono, e si avvicinava l'ora in cui di solito ci portavano da mangiare, attendemmo invano; l'ora passò senza che si presentasse nessuno. Poi arrivarono due guardie e ci dissero che dovevamo seguirli fuori. Sapevamo cosa voleva dire. Guardai nel viso i miei figli senza dire una parola. Io non piangevo, a tal punto impietrii dentro; piangevano loro; e il mio Laerte disse "perché ci guardi in quel modo, babbo? Che hai". Perciò non piansi mentre ci trascinavano fuori dalla baracca, e io scorsi per quattro visi il mio stesso aspetto. Mi quietai per non farli più tristi; durante il tragitto stemmo tutti muti; ahi dura terra, perché non ti apristi? Infine arrivammo al muro vicino alla fossa. I bambini erano inabili al lavoro, così dissero. Mainardo mi si gettò disteso ai piedi, dicendo: "Babbo mio, perché non mi aiuti?". Fu a lui che spararono per primo. Un colpo in testa, e quivi morì. E come tu mi vedi, così vidi io cadere gli altri tre uno a uno; e io mi diedi, accecato dal dolore, a brancolare sopra ognuno di loro, e per due ore li chiamai, dopo che furono morti, finché non mi portarono via.

Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti riprese a mettere in ordine le carte con le mani.

Ahi Hitler, vituperio de le genti del bel paese che altrimenti si nomerebbe solo per i poeti e i musicisti, si fossero mosse delle dighe sul Reno e la Mosella, per fare loro siepe in su la foce e annegarti! Che se i non ariani avevano voce di tradire la purezza della razza, tu non dovevi porli a tal croce, e men che meno i loro figli: innocenti li faceva l'età novella, novello Erode, Laerte e Mainardo e il loro padre che il canto su appella.

Noi passammo oltre, là've il museo ruvidamente altri orrori mostra. Il pianto stesso lì pianger non lascia; e il dolore che trova ostacolo sugli occhi, si volge dentro a far crescer l'ambascia. E avvegna che, sì come d'un callo, per essere sconvolto, ciascun sentimento se ne fosse andato dal mio viso, già mi pareva sentire alquanto vento; perch'io: - Clarissa, questo chi muove? Non è qua dentro ogni vapore spento?

Ond'ella a me: - E' il ventilatore -. Indicò il soffitto. Guardai in alto e vidi un congegno a pale ruotare pigramente, smuovendo l'aria.

E una delle guide, che lì spiegava cosa fosse il nazismo, mostrò a noi su una bandiera una croce nera uncinata in campo rosso. – Quelle anime crudeli vanno strombazzando idee xenofobe, razziste e totalitarie. Il massimo esponente fu Adolf Hitler, che iniziò la persecuzione con la "notte dei lunghi coltelli". Voi la dovete conoscere, anche se venite qui solo adesso: le sue squadre rastrellarono Monaco e Bad Wiessee e uccisero tutti i suoi oppositori.

-Io credo – diss'io lui – che tu m'inganni: uno come questo Hitler non poteva avere così pochi oppositori da essere eliminati in una sola notte.

-Ma non ne aveva tanti – disse lui. – La gente era come ubriaca di lui. Lo seguivano ovunque. Obbedivano a ogni ordine. Non è possibile che nessuno sapesse dei campi di concentramento, dove la gente veniva portata di peso a lavorare e poi morire, soffocati col gas in massa e poi bruciati, o uccisi e buttati in delle fosse. Ma nessuno ha mai fatto niente. Non finché non sono arrivati gli americani. E lo sa cosa rispondevano gli ufficiali quando li hanno processati? "Ho solo eseguito gli ordini".

-Il male è banale – intervenne Clarissa – come dice Hannah Arendt. Non erano dei mostri: erano dei buffoni. È facilissimo commettere il male, il difficile è riconoscere il bene.

Ahi, nazisti, uomini diversi d'ogni costume e pieni d'ogni magagna, perché non siete voi nel mondo spersi? Che col peggiore spirito di Germania trovai tanti, che per loro opera sono morti sei milioni di ebrei, e nemmeno se ne sono resi conto.

-Com'è morto? – chiesi mentre uscivamo. – Hitler?

-L'hanno trovato impiccato nel suo rifugio – rispose Clarissa. – Per non cadere in mano ai nemici.

-Credi che fosse pazzo?

-Spero di sì – rispose Clarissa. – Ma in realtà credo di no.

Comedìa NovaWhere stories live. Discover now