Canto XXVII

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-Lo sol sen va – soggiunse – e vien la sera:

non v'arrestate, ma studiate il passo,

mentre che l'occidente non si annera.

(Purgatorio XXVII 61-63)

Sì come quando i primi raggi vibra là dove il suo fattor lo sangue sparse, sì stava il sole; onde il giorno veniva, come Virgilio lieto mi apparse. Stava sulla soglia del salotto, e cantava: - Me ne vado, me ne vado, me ne vado via di qua! – con voce assai più viva che la comune. Poscia, mentre io mi alzavo intontito: - Non partiamo più, se non si alzano tutti adesso. Muoviti, mia mamma sta già gridando che perderò il treno.

C'era grande agitazione in casa. Da quello che sentii mentre mi vestivo a tutta velocità, scoprii che Virgilio aveva lasciato la sua valigia in mezzo al corridoio, col risultato che Aglauro ci era inciampata lacerandosi la pelle del ginocchio e ora Taide e Mirra urlavano a pieni polmoni.

-Poteva farsi male sul serio!

-Mio figlio in casa sua le valigie le tiene dove gli pare!

Mi stavo infilando le scarpe quando Clarissa entrò correndo nel salotto, agitata, seguita da Veltro. – Sei pronto?

-Quasi. Aglauro sta bene?

-Sì è fatta solo un graffio, ma se non la smettono di gridare e non si sbrigano, Virgilio perderà il treno.

-Volete uscire tutti quanti, per favore? – urlò Daniele.

Clarissa sobbalzò, afferrò il guinzaglio di Veltro, poi Veltro, e lo trascinò fuori dalla stanza. La seguii nell'ingresso.

Daniele stava armeggiando per aprire la porta. Quando finalmente Virgilio ricomparve con la valigia, uscimmo tutti e scendemmo le scale, ritrovandoci per strada dove Daniele aveva lasciato la macchina.

Impiegammo dieci minuti per raggiungere la stazione in auto: Daniele e Mirra davanti, io, Clarissa e Virgilio dietro, e nel baule Veltro con la valigia di Virgilio.

-Allora, Dante – domandò Daniele – come procede la tua opera?

-Abbastanza bene – risposi. – Sono in cerca di un nome per un personaggio.

-Chi è?

-Colei che conduce alla grazia. Mi serve un nome.

Daniele e Mirra si misero a parlare d'altro. Clarissa mi toccò piano un braccio e bisbigliò: - Matelda.

-Come?

-Matelda. È il mio secondo nome. Se ti può aiutare.

Arrivammo in stazione con mezz'ora di anticipo. Virgilio aveva già comprato il biglietto, ma quando lo cercò per timbrarlo scoprì che era sparito.

-Non hai rispetto per niente! – lo sgridò Mirra. – Perdi tutto!

-Ma mamma, ti giuro che ce l'avevo in tasca!

-Adesso non abbiamo tempo – intervenne Daniele. – Virgilio, vai a fare un altro biglietto.

Virgilio si diresse verso la macchinetta. – E' assurdo – disse. – Sono sicurissimo che ce l'avevo. Sono sicuro al quaranta per cento.

Come se non bastasse, la macchinetta non collaborava. Come destinazione, invece di MILANO CENTRALE, continuava a proporre MARAINI.

Non collegai, come si suol dire, finché, tirandomi distrattamente sul gomito la manica destra, non notai che mancava ancora una P da cancellare.

Diedi una manata sulla spalla di Virgilio. – E' il segno che stavamo aspettando! – gridai.

-Cosa?

-Devo andare ai Giardini Maraini, da Beatrice!

Mi guardarono in faccia e immediatamente, senza che nessuno dei due obiettasse, si misero a parlare di come arrivare ai Giardini e tornare in venticinque minuti.

-A piedi non ce la faremo mai – disse Clarissa.

-Con la metro! – propose Virgilio.

-Ce la farai al pelo!

-Vorrà dire che entrerete solo voi due ai Giardini e io tornerò qui. Non c'è altro modo. Dobbiamo andare ora!

Avvertire Daniele, comprare i biglietti, infilare il tunnel che portava alla stazione sotterranea, ci fece perdere cinque minuti. Superati i tornelli, scoprii che c'erano altre scale che portavano ancora più giù. Stavo per imboccarle, quando, sui binari, passò un treno a velocità folle, così fulmineo che non distinsi i finestrini dalla carrozzeria, producendo un frastuono che mi assordò; per ch'io divenni tal, quando l'intesi, qual è colui che nella fossa è messo. In su le man commesse mi ritrassi, guardando i binari e immaginando forte umani corpi già veduti stesi.

Si volsero verso me le buone scorte; e Virgilio mi disse: - Dante, qui può esserci un po' di tormento, ma non si muore mica. Ricordati, ricordati! Chi ti ha fatto entrare nell'ascensore, eh? E chi ti ha tirato fuori senza un graffio? Credi per certo che se restassi in uno di quei treni per mille anni, non ti verrebbe torto un capello. Se non mi credi, guarda che lo fanno tutti.

Difatti, il treno era arrivato, aveva aperto le fauci, e vi saliva la gente in attesa sulla banchina.

-Non avere paura, vieni qui, entra!

E io pur fermo e contra coscienza.

Quando mi vide star pur fermo e duro, turbato un poco, disse: - Vedi, se non sali, te la scordi Beatrice!

Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte, e la riguardò, allor che'l gelso diventò vermiglio; così, la mia durezza fatta solla, mi volsi al savio duca, udendo il nome che ne la mente sempre mi rampolla. Ond'egli crollò la fronte e disse: - Come! Vogliamo star qua? -, indi sorrise come si fa al fanciullo ch'è vinto con una mela. Poi dentro al treno innanzi mi mise, pregando Clarissa che venisse retro.

Sì com'io dentro fui, mi sarei gettato in un vetro bollente per rinfrescarmi, tant'era il caldo nella metro. Lo dolce Virgilio mio, per confortarmi, andava pur ragionando di Beatrice, dicendo: - Mi pare già di vedere i suoi occhi!

Ci guidava una voce che diceva il nome delle fermate; e noi, pur attenti a lei, venimmo fuor là ove su sentì "Maraini".

-Non fermatevi! – disse Clarissa, spingendo me e Virgilio su per le scale.

La via dall'uscita della stazione Maraini saliva dritta; eravamo allora io come capra, ed essi come pastori, quando il mio sonno mi prese. Barcollai, sentii vagamente Clarissa chiamarmi allarmata; ma già mi parea di veder giovane e bella donna andar per la striscia d'erba dietro al marciapiede cogliendo fiori; e cantando dicea: - Sappia qualunque il mio nome dimanda, ch'i'mi son Lia, e vo movendo intorno le belle mani a farmi una ghirlanda. Per piacermi allo specchio, qui m'adorno; ma mia sorella Rachele mai si smaga dal suo miraglio, e siede tutto il giorno. Ella è dei suoi begli occhi veder vaga com'io l'adornarmi con le mani; lei lo vedere, e me l'operare appaga...

-Dante! – urlò Clarissa scuotendomi.

Mi si schiarì di colpo la vista. Ero caduto in ginocchio sull'asfalto. Le tenebre fuggivano da tutti i lati, e il sonno mio con esse; ond'io mi levai, veggendo i gran maestri già levati dopo avermi soccorso.

-Sto bene! – annaspai. – Ho visto Lia!

-Dubito che tu conosca qualcuno qui – disse Virgilio.

-Lia quella della Bibbia, scemo, figura della vita attiva! – replicò Clarissa.

Tanto voler sopra voler mi venne del raggiungere la meta, ch'ad ogni passo al volo mi sentivo crescer le penne.

Come la strada tutta dietro a noi fu corsa e fummo di fronte al cancello del parco, in me ficcò Virgilio li occhi suoi, e disse: - Ti ho fatto vedere tutto, Dante, ma credo che mi perderò il resto. Ti ho portato fin qui con la teoria e con la pratica; adesso puoi fare quello che vuoi; sei fuori dalle vie più ripide e strette. Adesso vai lì dentro, okay? Non aspettarti più un mio dire o miei cenni: il tuo arbitrio è libero, dritto e sano, e sarebbe sbagliato non seguirlo: per cui ora sei signore di te stesso.

Comedìa NovaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora