Capitolo 12

1.9K 161 11
                                    

Mai e dico mai nella vita, papà si è comportato così con me. E' sempre stato la persona più calmo e razionale di questo mondo, invece, ora, è completamente fuori di sé. Non avrei mai pensato che arrivasse ad urlarmi in faccia e per di più impormi di fare qualcosa.

Loro non sanno assolutamente niente del mio stato e della fatica che provo quando sono costretta ad accettare questo problema. Io non lo accetto, è più forte di me e non sentirmi nemmeno capita quando faccio determinate cose, non fa altro che peggiorare la situazione. Non voglio un cavolo di bastone per i non-vedenti, non voglio dover prendere lezioni di braille, non voglio andare dalla psicologa e non voglio essere così.

Odio la mia vita, odio i miei genitori e odio quel fottuto giorno che avrebbe dovuto cambiarmi completamente la vita. Lo ha fatto; ma in peggio.

Non so nemmeno come reagire; se urlare, scaraventare le prime cose che trovo vicino, se ribellarmi, se piangere, non so. Non so assolutamente niente perché sono ancora di fronte a mio padre con la bocca completamente aperta, incredula di tutta la situazione.

Mi scrocchio le dita nervosamente e mi dondolo sui piedi. Ho i brividi per tutto il corpo e non ce la faccio nemmeno a ribattere dopo la sua sfuriata. Mi prendo un secondo per fare un respiro profondo e senza dire una sola parola, mi dirigo verso le scale accompagnata da Arthur che continua ad abbaiare per cercare la mia attenzione.

Prima che possa dare a Arthur una delle tante porte in faccia, si infila fra le mie gambe e lo sento buttarsi sul mio letto.

Chiudo la porta dietro di me e molto spontaneamente mi spingo verso la terrazza. Non so perché, ma in questo momento desidero la sua presenza nonostante ci siamo sentiti solo qualche ora fa.

Apro la terrazza e mi avvicino alla ringhiera sperando di trovarlo lì, ma l'odore di sigaretta non c'è, tanto meno quello del suo profumo.

"Harry?" Lo chiamo, ma l'unica fonte a provocare rumore è l'aria. Rimugino se provare a battere qualcosa sulla finestra per chiamarlo, ma dondolandomi sui piedi mi rendo subito conto che è un'idea così stupida. Ci sono uscita giusto un pomeriggio perché gli facevo pena, come può solo venirmi in mente di allargarmi a tal punto?

Scuoto la testa e torno dentro chiudendo dietro di me la porta-finestra. Arthur abbaia due volte e io mi avvicino a letto tastando davanti a me per cercarlo. Non appena mi siedo, il suo pelo passa sul mio palmo e le sue zampette sono sulle mie cosce. Lo accarezzo provando in qualche modo a controllare i nervi nel mio corpo, ma mi basta soltanto qualche altro minuto per iniziare a piangere a dirotto.

E' difficile per me riuscire a sopportare questo, dover far finta di essere normale agli occhi della gente e al contemplo, ingoiare il nodo che da mesi a questa parte mi ritrovo costantemente sulla bocca dello stomaco. Cosa c'è che non va in me? Sono sempre la prima a dire agli altri di non abbattersi dinanzi a qualsiasi ostacolo per quanto possa essere complicato, eppure non riesco ad applicare il mio stesso consiglio.

La verità è che quando si prova sulla propria pelle qualcosa, ci si rende conto che è sempre tutto in salita e combattere per riuscire a trovare me stessa, mi sta solo distruggendo.

Il lunedì mattina è diventato come qualsiasi altro giorno a venire. Tutto monotono e tutto noioso, a parte quando sono dovuta scendere al piano di sotto per poi scoprire di dover essere accompagnata dalla stessa Savannah.

Mio padre me lo ha annunciato così, su due piedi con lo stesso tono del giorno prima per poi prendere andare via senza salutarmi. Il mio stomaco si è chiuso, così sono uscita con il bastone e gli occhiali superando Savannah.

Il tragitto è diventato improvvisamente lungo e l'unico rumore che si sente è quello delle nostre scarpe e il bastone che sposto a destra e sinistra per orientarmi.

FadedDove le storie prendono vita. Scoprilo ora