Capitolo 1 - Prigione

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"Vostra maestà vi prego, aprite la porta!" Un ragazzo bussava con insistenza alla porta, chiamando a gran voce l'uomo che si trovava all'interno della stanza. Nonostante i colpi ostinati e incessanti, Uriel Septim aprì lentamente le palpebre. D'altronde era anziano, aveva ottantasette anni e governava sull'intera Tamriel da più di sessanta. Ma, soprattutto, era terribilmente stanco. Ogni notte il sonno soleva portargli consiglio attraverso delle visioni e quella di questa nottata sarebbe stata la più inquietante della sua intera vita. Quella notte, infatti, Uriel sognò l'ora della sua morte. 

Dopo qualche istante, finalmente si decise ad alzarsi dal letto per aprire al suo servitore.
"Che c'è Liam?" chiese stancamente il sovrano. Il ragazzo di fronte a lui era terribilmente pallido, una goccia di sudore gli solcava la fronte.
"Riguarda i suoi figli sire, io non so come dirlo ma... Sono stati assassinati." Uriel abbassò lo sguardo e si portò automaticamente la mano al cuore: questo non lo aveva previsto. Aveva percepito subito che c'era qualcosa di sbagliato, da giorni ormai sapeva che qualcosa sarebbe andato storto, ma questo no, sembrava così impossibile.
"Sono morti tutti?" riuscì soltanto a dire con voce particolarmente flebile.
"Temo di sì." L'imperatore si diresse quindi al suo armadio e si fece aiutare da Liam per indossare la sua veste e la spada a tracolla. Poi andò alla scrivania e strinse forte l'Amuleto dei Re, pronto a proteggerlo ad ogni costo. Perché sapeva che esso, al momento, era la cosa più importante, era ciò che avrebbe potuto salvare o condannare l'intera Tamriel. "Chiama Baurus, e digli che dobbiamo partire al più presto." E detto questo si diresse alla porta, pronto ad affrontare il suo destino.

Dolore, tanto dolore e una fitta intensa al capo. Eppure attorno solo buio e oscurità. Sotto una pietra fredda e umida, l'aria rarefatta. Però era necessario che aprisse gli occhi. Si sforzò a lungo e infine riuscì a sollevare le palpebre. All'inizio non aveva idea di dove si trovasse, di fronte a lei c'era soltanto un tavolino con una brocca e un piatto vuoto. Di fianco una vecchia sedia. Poi, quando si mise a sedere, capì: era all'interno di una cella.
Perché sono in prigione?

Finalmente riuscì ad alzarsi. Si avviò alle sbarre e le afferrò. Nella cella di fronte alla sua c'era un elfo oscuro come lei, la guardava con occhio indagatore e poi, quando notò che l'aveva visto, sorrise. "Devo essere in paradiso o nelle sale buie di Azura per vedere una figura così magnifica. Sei bellissima mia dolce dunmer." L'aveva chiamata col nome che quelli della sua razza usavano per descriversi: dunmer significa elfo oscuro. Si differenziavano dagli altri elfi per il particolare colore della loro pelle, di una tonalità tendente al blu e dai loro occhi rossi.
L'elfa lo guardò con disgusto e non rispose. L'altro non se ne preoccupò e continuò a parlare. "Sai, una guardia mi deve un favore, potrei usarlo per farci stare nella stessa cella; potremmo così divertirci un po', prima della fine." Ora la ragazza era oltraggiata.
"Ma che stai dicendo? Lasciami stare..." Detto questo cercò di allontanarsi, ma fu subito bloccata dalla voce stridula dell'elfo.
"Certo vattene. Ma ricordati le mie parole, sei destinata a morire qui. Esatto, tu morirai!" scoppiò poi in una risata maligna.
La dunmer tornò a sedersi sul blocco di pietra, che era il suo giaciglio. Ma per quale motivo mi trovo qui? Non ricordo niente. E mentre tentava di ricordare qualcosa, la testa tornò a dolerle.
Il mio passato, dove sono tutti i miei ricordi?

Ad un tratto udì dei passi e l'elfo le parlò nuovamente.
"Senti? Sono le guardie, sono venute per te! Sono venute per ucciderti!" L'elfa si spaventò vedendo delle guardie avvicinarsi sempre di più alla sua cella. La prima, una donna, si affacciò dalle sbarre.
"Che ci fa un prigioniero in questa cella Phil? Avevamo dato ordine di lasciarla libera." La seconda guardia, un imperiale sulla quarantina si trovò in difficoltà.
"Non saprei, i soliti disguidi con i carcerieri." La donna roteò gli occhi con impazienza.
"Pazienza, è l'unica via che abbiamo. Stai indietro prigioniero o dovremo intervenire con la forza." L'elfa indietreggiò e si appoggiò al muro di fondo. Quando furono certi che la ragazza non avrebbe tentato di scappare, le due guardie entrarono, seguite da altre due persone. Il primo era di razza guardiarossa e aveva tutta l'aria di essere la guardia del corpo dell'Imperiale di fianco a lui. Lo si capiva da come lo affiancava e dal modo in cui stava sempre attento a ciò che capitava attorno a quell'uomo. La ragazza si soffermò ad osservare quest'ultimo. Indossava una veste regale, una spada a tracolla e un amuleto rosso fuoco al collo. Lei non lo riconobbe, ma poteva percepire chiaramente il potere che esercitava.

I loro sguardi si incontrarono e l'imperatore sgranò gli occhi dalla sorpresa. Si avvicinò poi alla ragazza senza staccarle gli occhi di dosso.
"Sire che sta facendo?" Uriel fece finta di non sentirlo, si rivolse invece all'elfa.
"Tu, sei il guerriero dei miei sogni. Allora gli dei avevano ragione, oggi è il giorno. Come ti chiami?" Lei lo guardò senza capire.
"Kristal." Rispose. Poi si stupì di se stessa, ricordava il suo nome! Forse il vuoto di memoria piano piano sarebbe svanito. Eppure non ricordava quell'uomo, anche se lui sembrava conoscerla. Decise di provare a chiedergli del suo passato, per vedere se lui era in grado di dirle qualcosa su di lei.
"Non ricordo nulla. Perché sono in prigione?" Uriel sorrise stancamente. "Non lo so. Forse gli dei ti hanno posta qui in modo che noi ci potessimo incontrare. Ma questo non importa, perché non sarà ciò per cui verrai ricordata. Le tue future azioni rimarranno nel cuore di tutte le razze."
Ora l'elfa era ancora più confusa. "Quindi questa è la prima volta che ci incontriamo?"
"Temo di si, io ti ho vista spesso nei miei sogni ma non ho mai parlato con te." Kristal rimase fortemente delusa.
"Tu chi sei? Come ti chiami?" Le guardie la guardarono con occhi allucinati; Uriel invece, sorrise nuovamente.
"Sono il tuo imperatore, Uriel Septim." Kristal si sentì particolarmente a disagio, aveva fatto una domanda davvero stupida. Abbassò lo sguardo imbarazzata.
"Io.. Mi dispiace sire ma non ricordo nulla." Il sovrano la guardò per qualche secondo.
"Non ti devi scusare di nulla. Ora però è necessario muoversi, non siamo al sicuro qui."

Sentendo queste parole, la guardia donna premette una mattonella sul muro, aprendo un varco sopra il giaciglio da cui Kristal si era svegliata qualche minuto prima. Subito dopo si avviò in testa al gruppo, tendendo la sua sciabola sulla sinistra e una torcia sulla destra. Il guardiarossa e Uriel le furono subito dietro, mentre Phil si soffermò con Kristal.
"L'imperatore ha visto qualcosa in te dunmer. Chissà cosa." Sembrò riflettere su ciò che aveva sentito poco fa mentre la scrutava con diffidenza. Poi improvvisamente fece spallucce, allungando le mani. "Dammi le braccia, così posso liberarti i polsi da quelle manette." Kristal allora allungò le braccia a sua volta e attese che Phil facesse il suo lavoro.
"Ecco fatto. Tieni questa torcia, almeno potrai renderti utile." Kristal non rispose. Molto simpatico insomma... Phil si avviò per il cunicolo. L'elfa passò un ultimo sguardo alla sua cella, guardò l'elfo imprigionato con soddisfazione e poi seguì le guardie, non sapendo cosa aspettarsi, con mille domande in testa e nessuno che potesse darle una risposta. 

Oblivion - The Elder ScrollsWhere stories live. Discover now