21. L'HAI VOLUTO TU - 1

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Dio vi ha dato un viso
e voi ve ne create un altro.
Shakespeare

«Sì, certo».

«E poi hai visto che maglietta, aveva? Con quella fantasia tutta piena di mongolfiere!».

«Già».

«E se penso a come si è pettinata! Con quella specie di ciuffo, sembrava una strega!».

«É vero».

«Quella stupida! Ha avuto persino il coraggio di dirmi che sono strabica!».

«Sì, certo».

«Si certo?!».

Edmund si accorse di aver detto qualcosa che non andava.
Ripeté: «Beh, sì...Hai ragione».

«Certo che ho ragione! Quella stupida, ma chi si crede di essere?». Edmund non riusciva più a seguire Alessia nel suo susseguirsi di insulti su Diana.

Gli era rimasto fisso nella mente lo sguardo mortificato di Tommaso, e vedeva solo quello.
La colonna sonora di quella visione, poi, era la propria voce, estranea, odiosa, viscida che diceva: «Quando si arrabbia, Diana ci vede rosso». Non riconosceva quella voce, non voleva riconoscerla!

Abbassò lo sguardo sulla strada di fronte a lui e si fermò. Si accorse solo in quel momento di essere arrivato in cortile.

Sotto ai suoi piedi si stendeva un praticello selvatico pieno di trifogli. Quante volte, da bambini, lui e Tommy, avevano cercato per ore un quadrifoglio portafortuna? Una volta, Tommy ne aveva trovato uno: la quarta foglia era striminzita e quasi marcia, ma ad entrambi era sembrata un'enorme conquista. Poi, era incominciata la guerra a chi dei due dovesse tenerlo. Tommy glielo aveva lasciato, ma dopo qualche giorno Edmund si era sentito in colpa e glielo aveva restituito.

Alessia si fermò a sua volta e lo guardò fisso, con espressione indecifrabile.
«Scusa, Ale. Ci vediamo dopo».

«Come sarebbe "ci vediamo dopo"? Dove vai?».

«Ci vediamo dopo, ok?».

E, senza aspettare una sua risposta, Edmund si girò e rientrò a scuola.
Appena fu dentro, guardando attorno a sé con sguardo perso quella cascata di colori e voci indistinte, chiassose, estranee ed incomprensibili, cercò con gli occhi Tommaso.
Lo trovò.

Era da solo, appoggiato al muro accanto alla porta della biblioteca, e guardava fisso a terra con aria pensosa.
Tranne per qualche centimetro in più, Tommy non era cambiato molto da quando erano alle medie: Edmund riconobbe la sua maglia. L'arancione-zucca era esaltato dal muro color latte andato a male. Le maniche erano un po' troppo corte. La stampa di Darth Vader che affetta zucchine con un grembiule da cucina era mezza consumata. Un giorno, in prima media, Tommaso gliela aveva prestata e Edmund si era dimenticato di ridargliela per un anno intero.
Edmund sentì tutto d'un colpo la mancanza del suo miglior amico. Un vuoto enorme gli bucava lo stomaco.

Cercò con gli occhi Diana e, quando fu sicuro che non era in vista, si avvicinò a Tommaso.
Appena alzò gli occhi su di lui, quest'ultimo, con un solo sguardo, fu in grado di dirgli quanto lo disprezzasse, quanto fosse rimasto deluso da lui e quanto poco piacere gli desse averlo come compagno di classe.

«Tommaso, possiamo parlare un secondo?».

«Che c'è?».

«Possiamo parlare in biblioteca?».

«Perché? Forse hai paura che Diana compaia nelle vicinanze?» disse Tommaso, con un tono sarcastico.

Edmund lo fissò serio per qualche istante, poi disse: «Esattamente».

La sincerità fece l'effetto sperato.

Tommaso, sorpreso, annuì e lo precedette in biblioteca.
«Qui ti va bene?» disse, incrociando le braccia.

Edmund annuì.
Prese un respiro e incominciò la sua confessione: «Volevo dirtelo subito, che avevo deciso di venire nella tua sezione, ma Diana era sempre presente e...» si fermò, indeciso su come continuare, poi disse: «Te l'avrei detto, prima o poi, di Diana...».

«Non mi aspettavo che tu lo facessi».

Edmund cadde dalle nuvole. Che cosa significavano quelle parole? «Non ti aspettavi...?!» esclamò stupefatto.

«Certo che no. Non siamo così amici, ormai, da doverci dire tutto, no?».

Già. Era vero. Edmund non aveva mai smesso di considerarlo il suo migliore amico, nonostante tutto quello che era accaduto, e aveva dato per scontato che anche per Tommaso fosse così. Ora si rendeva conto che era stato ingenuo e aveva confidato in un'assurdità, frutto della sua fantasia troppo libera. Tommaso non si aspettava che lui lo trattasse ancora come il suo più caro amico; e perché avrebbe dovuto, visto che non erano più amici?

«E allora perché ti sei arrabbiato così..?!» gli chiese.

«Perché si tratta di Diana, la mia migliore amica, e tu la stai prendendo in giro come fai con tutto il mondo! E poi, perché da ieri ormai siamo compagni di classe e dobbiamo frequentarci per forza».

Diana era la sua migliore amica, mentre lui non era più nessuno. Anzi, qualcuno che Tommaso era costretto a frequentare per forza. Ebbene, se era così, che stavano le cose...!

Si vergognò dei suoi sentimenti, ed ebbe solo voglia di ferire Tommaso come quest'ultimo aveva ferito lui.
«Allora, te lo dico adesso, che tu lo voglia o no. Ho cambiato sezione solo ed esclusivamente per conoscere Diana. Se non fosse stato per lei, non avrei mai scelto la D. Non l'avevo neppure presa in considerazione. Se tu hai qualcosa in contrario per quanto riguarda me e Diana, dimmelo adesso, ma io non ti ascolterò».

«Forse non ti sei accorto che non esiste alcun "te e Diana" e che Diana ti detesta» lo interruppe Tommaso, gelido. Non sembrava per nulla ferito dal fatto che Edmund gli aveva appena dichiarato che non aveva mai avuto intenzione di riallacciare la loro amicizia.

Edmund annuì, con uno sforzo per mantenersi calmo.

Fece un breve esame di coscienza, per non rischiare di dire cose di cui potesse pentirsi in seguito. Sì, voleva davvero conoscere Diana e non gli importava che fosse strana ed eccentrica: voleva conoscerla e farsi amare da lei...
Ma come poteva fare, se Tommaso non faceva altro che alimentare il disprezzo che Diana nutriva per lui?
Tommaso aveva deciso da che parte stare: aveva scelto Diana.

Aveva voluto perdere definitivamente ogni legame di amicizia che avevano avuto? Ebbene, Edmund avrebbe fatto a meno di lui.

Ma poteva ancora chiedergli un ultimo favore, in nome della loro vecchia amicizia, se essa valeva ancora qualcosa per Tommaso.
Con un respiro profondo, senza più rabbia o offesa nella voce, gli disse:
«Ti chiedo solamente un ultimo favore, in nome dell'amicizia che avevamo e che mi ha spinto a perdonarti quattro anni fa per una cosa molto più grave di questa. E poi, se è quello che vuoi, le nostre strade si possono anche dividere, non mi interessa più».

Quelle parole ebbero un profondo effetto su Tommaso. Rimase in silenzio, con un'espressione sorpresa per qualche istante, poi i suoi occhi si strinsero e il suo volto tradì la freddezza che aveva ormai preso il posto dell'amicizia nel suo cuore.

«Che cosa vuoi?» disse.

«Che tu non mi complichi le cose con Diana».

«Non ce n'è bisogno» disse, col chiaro intento di ferire Edmund: «Se volessi che Diana ti mandasse a quel paese, mi basterebbe aspettare con le mani in mano».

Era vero, Tommaso aveva ragione: Diana lo detestava.

Provò un desiderio maligno di rendergli il colpo, ma non ne fu in grado. E disse solo:
«Allora evita almeno di affrettare i tempi facendole credere che io sia quello che sembro».

Tommaso non ebbe gli stessi suoi scrupoli: «Ma tu sei quello che sembri».

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