28. LA PALADINA DELLA GIUSTIZIA - 1

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A voi non capita mai
di sentirvi un po'... indefiniti?
Quino


Un giorno come tutti gli altri, Edmund fu interrogato di Storia.

Il professore, Carlo Zamponi, un nome che era tutto un programma, era un omino insignificante, prepotente, arrogante e privo di personalità, che amava le vacanze alle Hawaii ed, essendo figlio di un ricco napoletano assessore alla cultura, passava cinque dei nove mesi di scuola su una bianca spiaggia, con un giornale, un caffè e il cellulare a portata di mano.

Per dir la verità, il giornale, il caffè ed il cellulare non se li faceva mancare neppure nei quattro mesi in cui era costretto ad onorare con la sua presenza i suoi poveri alunni disperati.
Dal canto loro, questi ultimi, a causa dell'inefficienza del professore nel compilare i libretti dei voti, erano costretti - loro malgrado - a sperare nel suo ritorno, per paura di restare ufficialmente non classificati, ovvero di ritrovarsi un 4 e mezzo sul registro, voto di origine misteriosa, ma di innegabile validità.

Quel giorno, Zamponi indossava una camicia a quadri verdi e arancio, infilata in un paio di calzoni color mattone, a loro volta stretti da una cintura di cuoio aranciastro che mal nascondeva dimensioni poco armoniose. Segni particolari: il riporto e due occhietti piccoli e mobili, nascosti da due sopracciglia cespugliose che, per quanto inarcate a dismisura, erano completamente prive d'espressione.

Insieme a tutto questo, il suddetto professore di Storia Carlo Zamponi pretendeva, dall'alto dei suoi 155 centimetri di altezza contro 187, di poter trattare Edmund come e meno di una nullità, per il solo ed unico fatto di possedere una cattedra liceale di 10 cm più alta di un banco di scuola.

«Parlami della guerra di Corea» disse Zamponi, con accento napoletano, facendo un gesto stizzoso che quasi fece rovesciare il caffè sulla tastiera del portatile, acceso sull'applicazione iTunes.

Nel frattempo, inarcando maggiormente le sopracciglia, il professore osservava con gli occhietti arcigni un articolo della gazzetta, e faceva una smorfia innervosita, vedendosi costretto, per forza di cose, data la mancanza di spazio libero sulla scomoda e stretta cattedra, a rivolger le spalle all'interrogato.

Quando, due minuti prima, aveva sentito il proprio nome pronunciato con tono insofferente e senza alcun nesso con tutto quanto lo stesso Zamponi aveva appena fatto (ovvero entrare in classe, sedersi, appoggiare il caffè sulla cattedra, accendere il computer, aprire la gazzetta e dimenticarsi di far l'appello), Edmund aveva cercato di accelerare i tempi assai lenti del proprio risveglio mattutino. Aveva connesso il cervello e, dopo aver compiuto una rapida indagine della situazione, aveva fatto una veloce associazione di idee che gli aveva infine permesso di comprendere che... era stato chiamato per l'interrogazione.

D'altronde, interrogare era fra i compiti del professore e, quando questi era presente, talvolta, occasionalmente, procedeva a compiere quella noiosa ma necessaria pratica, nelle modalità sopra descritte. Ora Edmund se ne stava seduto, - quasi sdraiato - sulla sedia, accanto alla cattedra, con le mani in tasca e con un'espressione che era di menefreghismo puro. Impiegò tutto il suo ozioso tempo ad osservare le pieghe dei capelli del professore navigare nel mare di gel che quest'ultimo aveva voluto sapientemente spalmare sul proprio capo, finché il prof si fosse degnato di fargli una domanda.

Parlami della guerra di Corea.

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