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Il fastidioso suono della sveglia mi strappò dal mio bellissimo sogno, e nonostante cercassi di convincermi ad alzarmi, finii per ricadere nel sonno quasi istantaneamente. 

L'aria della stanza era pervasa da una leggera luce mattutina, e il calore del piumone rendeva difficile distogliere la mente dal desiderio di rimanere a letto.

Poi, improvvisamente, il mio telefono iniziò a squillare con insistenza.

Dopo qualche sforzo e sbadiglio, riuscii a raggiungerlo sul comodino. 

La voce allegramente stridula dall'altro capo della linea cercava di farmi capire chissà cosa. Con una certa lentezza, allontanai il telefono per vedere l'ora sullo schermo luminoso, e mi precipitai a tirarmi su dal letto, rischiando di inciampare nel lenzuolo.

La voce continuava a parlare mentre io, in preda all'agitazione, pronunciavo qualche scusa veloce: "Ciao, scusa, mi sono addormentata, entro alle 9", e riattaccai. 

Non avevo la minima intenzione di ascoltarla mentre mi faceva la predica sul mio costante ritardo, che mi costringeva a saltare la colazione e mi rendeva di cattivo umore per il resto della giornata.

Con uno scatto, afferrai lo zaino, risvegliandomi completamente dal torpore del sonno. 

La luce del mattino filtrava dalle tende socchiuse, rendendo l'ambiente più vivido. 

Mi precipitai verso la fermata del bus, il freddo mattutino pungente sul viso. 

Per fortuna, il bus arrivò poco dopo, senza coda, e riuscii a salire in tempo, ansimante ma determinata a non arrivare in ritardo come al solito.

Entrai nella classe e, come previsto, trovai Eli ad attendermi con uno sguardo severo. Era pronta a rimproverarmi per il mio ritardo, e il suo sguardo accusatorio mi fece sentire in colpa ancor prima che aprissi bocca.

La sua voce risuonò nel silenzio della classe quando iniziò a elencare tutte le ragioni per cui il mio comportamento era inaccettabile. Le parole sembravano piccoli proiettili che colpivano la mia coscienza, e io cercavo di annuire e scusarmi nel modo più convincente possibile.

Guardai fuori dalla finestra, cercando di concentrarmi su qualsiasi cosa tranne che sul rimprovero di Eli. 

Il sole illuminava il cortile della scuola, creando giochi di luce tra le foglie degli alberi. Sarei voluta scappare da quella lezione e godermi la tranquillità di quel momento, ma sapevo che dovevo affrontare le conseguenze del mio ritardo.

Passai la maggior parte delle ore scolastiche intrappolata in una conversazione incessante con Elisabetta, interrotta solo dal richiamo della professoressa di italiano.

Chiesi sottovoce alla mia amica, cercando di non farmi sentire dalla prof: "Dove sono Luca e Marco?"

"Partecipano a un torneo di calcio organizzato dalla scuola", rispose Elisabetta.

I ragazzi, pensai tra me e me, roteando gli occhi. Sembrava quasi una legge non scritta che dovessero tutti appassionarsi al calcio.

Una volta a casa, dopo aver mangiato velocemente, decisi di chiamare Luca. 

Rispose dopo alcuni squilli, e in sottofondo si sentivano delle urla.

"Hey", disse con il fiatone."Ancora al campo di calcio?" chiesi."Già, non ce la faccio più.""È così intenso?" chiesi ridendo leggermente."Sì, l'allenatore ci sta facendo lavorare duro. Ma sai, sto pensando a qualcosa che potrebbe interessarti.""Ah sì? Cosa?" domandai, incuriosita."Abbiamo una partita importante questo weekend, e pensavo che potresti venire a vederci. Che ne dici?""Ci sarò.""Perfetto! Sarai la nostra tifosa numero uno.""Ovviamente!" risposi ridendo. "Ma ora smettila di svenarti sul campo e prenditi una pausa. Cosa fai dopo l'allenamento?""Probabilmente ci fermeremo per una pizza o qualcosa del genere. Vuoi unirti a noi?""Mi piacerebbe, ma penso di avere altri piani per stasera.""Peccato. Sarà per la prossima volta.""Va bene, buon allenamento!""Ci sentiamo dopo, Luna."

Riagganciai il telefono con un sorriso. Il fatto che Luca avesse pensato a coinvolgermi nelle sue attività mi riempiva di calore.

Mi misi a riflettere su cosa fare per il resto della serata, pensando che avrei potuto sfruttare il tempo per lavorare ai miei disegni o semplicemente rilassarmi con un buon libro.

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Eravamo sedute sulle vecchie scale della scuola durante un'ora di pausa, dove il tempo sembrava scorrere più lentamente. Il legno consumato sotto di noi testimoniava le innumerevoli generazioni di studenti che avevano condiviso quel luogo.

"Non girarti, c'è Giorgio, che ti sta guardando," sussurrò Elisabetta.  Gli fece un cenno e poi ammiccò nella mia direzione, complicando ulteriormente la situazione.

Aspettai qualche minuto, fingendomi occupata con il telefono, poi mi girai lentamente incrociando il suo sguardo, sorridendo in modo imbarazzato. 

I ricordi di lui e delle sue mani che esploravano il mio corpo erano ancora freschi nella mente.

La conversazione continuò, e di tanto in tanto mi voltai per verificare che stesse ancora lì. Invariabilmente, ogni volta che lo facevo, Giorgio era lì, a scrutarmi con intensità.

Quando la campanella suonò, decidemmo di rimanere ancora qualche minuto sedute lì.

"Non è giusto. Tu hai due ragazzi, a cui piaci, ed io neanche uno," sospirò la mia amica con un tono malinconico.

"Due ragazzi, e chi sarebbero?" chiesi perplessa, scrutando il cortile scolastico.

"Uno è ovviamente Luca, e poi c'è lui," disse indicando il posto ormai vuoto dove poco prima Giorgio mi osservava con attenzione.

"Domani ti va di venire a una festa? Ci sarà anche Marco e alcuni dei nostri amici."

"Certo, non vedo l'ora. Allora ci vediamo," risposi con un sorriso, anticipando nella mente la serata che ci attendeva.

Una volta a casa, mi lasciai cadere sul letto. Non avendo fame, così collegai il telefono alla cassa e misi della musica, cercando di allontanare i pensieri confusi.

Leggendo qualche pagina di un libro, persi la percezione del tempo. Quello che pensavo fossero pochi minuti erano invece trascorse quattro ore. 

Quando decisi di spegnere la musica e dare un'occhiata al telefono, trovai un messaggio di Elisabetta: "Ricordati della festa al Moon, domani sera." 

Attrirata da un invitante profumo, mi avvicinai alla cucina dove mia madre era intenta a cucinare. 

"Come è andata la tua giornata?" le chiesi, cercando di condividere qualche momento con lei.

Si voltò con un sorriso stanco ma affettuoso, scusandosi per essere stata poco presente in quei giorni. 

"Abbiamo ancora mezz'ora prima di cena. Vuoi raccontarmi qualcosa?" propose.

Ci sedemmo nel soggiorno, e io iniziai a raccontarle della festa al Moon, delle nuove amicizie e della scuola. Mentre parlavo, notavo che il suo sguardo si faceva più sereno, come se quei momenti di condivisione alleviassero un po' il peso della sua giornata.

Dopo cena, mia madre si preparò per uscire, ma non senza prima assicurarsi che mi sarei trovata bene da sola. Con un bacio sulla fronte, mi augurò una buona serata.



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