CAPITOLO 4

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Megan

Lasciare l'ospedale mi rese quasi triste: forse stare in un ambiente così carico di sofferenza ti fa pensare che non potrebbe mai accaderti qualcosa di peggio.
Ma si sa, al peggio non c'è mai fine.
Troy ci stava riaccompagnando a casa, questa volta con un trabiccolo del tutto nuovo. Nessuno osi chiedermi il modello, non ho mai capito molto di auto. Ma quella di Troy non sapevo nemmeno se si potesse definire in tale maniera.
Non so perché sciegliesse sempre macchine in cattivo stato.
Guardando oltre il finestrino i miei pensieri si disperdevano nel bianco del paesaggio.
Avevo scoperto la neve solo da pochi mesi, il mio primo inverno.
E quell'inverno era davvero freddo, o almeno cosí mi diceva James.
Sosteneva che quell'inverno particolarmente gelido sia stato un regalo, un promemoria per ricordarci che il caldo delle fiamme dell'Inferno era finito, che era finito soprattutto per me.
Il ragazzo dei miei incubi non ha fatto altro che confermare la teoria di James: io non ero più l'erede di mio padre. Finita la carriera da Angelo della Morte. Finito il supplizio infernale.
La macchina si arrestó dinanzi casa.
Si intravedevano ancora addobbi floreali e sedie semiripiegate sul retro della casa. Chissà che fine aveva fatto il reverendo, me ne ero completamente dimenticata.
Probabilmente, ignorato e confuso dai recenti avvenimenti se ne sarà andato senza proferire parola.
James cercava disperatamente la chiave giusta che ancora non era in grado di riconoscere.
Un barlume di contentezza si accese sulle mie labbra che si contorsero in un rigido sorriso, quasi cristallizzato dal freddo.
"Dovevo svenire proprio mentre stava per baciarmi? Che puntualità!"
Un'angoscia mi salì nel petto quando riflettei sulla possibilità che lui non fosse ancora mio marito.
Suonava davvero strano:
<Megan Anderson> o
<Signora Anderson>.
Mentre ci pensavo su, il gelo aggrediva il mio respiro facendosi strada nella gola e nei polmoni minacciando di congelarli per sempre.
Cosí decisi di afferrare la chiave giusta e inserirla nella serratura.
La porta peró si aprí da sola senza che io sfiorassi minimamente la maniglia.
-Bentornati- pronunciò qualcuno.
Una donna alta e slanciata si stagliava sulla soglia.
-E tu chi sei?!- sboccai.
James sfoderó i suoi denti acuminati, Troy le puntó una freccia alla testa e gli altri Vigilanti che erano rimasti in auto si accorsero con qualche secondo di ritardo dell'intrusione al nostro quartier generale, in casa nostra.
-Tranquilli- esclamó la donna.
-Sono solo sua madre-

Mi irrigidí nuovamente ma questa volta non fu colpa del freddo.
-L'unica madre che io abbia mai avuto è morta. Non so chi tu sia. Magari è vero che sei la mia madre biologica ma non sei la benvenuta qui. Vattene!- tagliai corto.
La sua espressione rimase impassibile.
Si aspettava sicuramente di essere rifiutata.
-Credevo tu fossi una ragazza curiosa Megan. Dopotutto è stata la tua curiosità a portarti in questo mondo-
-È stata la disperazione a portarmi qui. Non era curiosità, era il desiderio morboso di scappare da quel luogo dannato! Dove tu evidentemente mi hai abbandonato...-
James mi strinse la mano, per ricordarmi, assieme al freddo, che l'Inferno era finito.
-Non vuoi sapere come sono andati i fatti?- mi incalzó.
-Non penso faccia differenza ora come ora- risposi sicura.
-Io penso di sí- controbbatè indicando il mio addome.
-Magari ha delle informazioni, la cacciamo via cosí?- mi sussurró James.
-James ha ragione- rispose lei.
-Come sai il mio nome?- domamdó confuso il vampiro.
-Come dicevi tu, ho delle informazioni. E tu somigli moltissimo a tua madre.
Tuo padre ne sarà orgoglioso- chiarí.
Roland era pogiato di schiena al cofano anteriore del veicolo.
Guardava fisso nella boscaglia, ma ascoltava tutto.
-Roland, come fa a consocerti?- lo richiamai.
-Forse è meglio ascoltarla- propose spingendo il suo sguardo ancora piú lontano, forse nel tempo e nei mille pensieri.

-Lo so Megan che non ti interessa ricostruire un rapporto madre/figlia, non posso fartene una colpa.
Ma lascia che ti aiuti.
Perché ti servirà tutto l'aiuto possibile-

Non sapevo nemmeno il suo nome, ed era mia "madre".
La squadrai: io non le assomigliavo affatto. Lei era bellissima, alta e sfilata, bionda e con gli occhi del colore del cielo più azzurro.
Ma quella bellezza sembrava finta, come dipinta e imposta su di lei.
Non sembrava nemmeno vera.
Sembrava l'ennesimo sogno.
So peró che dietro il sogno si cela la vera realtà.

LOST WINGS: THE RESURRACTIONDove le storie prendono vita. Scoprilo ora