12) Rivoglio la mia vita

120 11 18
                                    

Ora posso dire di stare bene. Ci sono giorni in cui mi sento giù di morale, ma cerco di scacciare la malinconia rifugiandomi nel mio bar preferito a prendere una cioccolata calda e dei cookies.

La mia vita non è perfetta, ma in fondo cosa c'è di bello nella perfezione? A volte i dolori, gli imprevisti, le insicurezze servono a farci capire meglio noi stessi, a renderci più forti.

Vivo in un appartamento tutto mio, che si affaccia sui canali di Amsterdam, la città che ormai ha le chiavi del mio cuore. L'arredamento che ho scelto per la mia casa è quello che avevo sempre sognato, e riflette il mio modo di essere. È un condensato di colori, luci, libri vecchi e nuovi, oggetti stravaganti, tanti cuscini e fantasia.

Quando Henry e io ci lasciammo, ritornai alla mia vita. Nell'armadio conservavo ancora i vestiti di pizzo dai colori soft che avevo comprato a Londra con lui, e i libri letti in quel periodo erano in bella vista sulle mensole del salotto. Alle pareti avevo appeso le mie foto più belle, tra cui quelle scattate nell'800.

Era un appartamento un po' demodé... ma di tendenza!

Devo ammettere che all'inizio non sapevo come fare per riprendere la mia vita dove l'avevo lasciata in quella fredda giornata invernale. All'epoca mi ero "buttata" in quell'avventura senza pensare alle conseguenze, e non me ne sono mai pentita, anche se quando tutto è scomparso come una bolla di sapone ho sofferto molto.

C'è stato un momento in cui non avevo voglia di alzarmi dal letto, di vestirmi e andare a lavoro, neanche di uscire a fare shopping. Niente riusciva a distrarmi, a farmi dimenticare anche solo per un istante quello che avrei potuto avere. E quello che avevo perso, ormai definitivamente.

Con il passare dei mesi capii che in realtà non avevo perso nulla, dipendeva dalle prospettive. Per tre anni avevo vissuto in un sogno, e dovevo solo essere grata di quel regalo del destino. D'altronde tutto finisce, e non per questo bisogna stare male, o dimenticare quello che ci ha reso felici. Con questa nuova filosofia, giorno dopo giorno cominciai a reagire... e tornò la voglia di uscire di casa e riappropriarmi della mia vita.

Un pomeriggio ero uscita a fare delle compere. Il cielo era azzurro e il sole accecante, e questo era insolito per una città come Amsterdam, soprattutto durante l'inverno. Non potevo non passare a prendere la macchina fotografica e inoltrarmi per le strade e le piazze inondate dalla luce.

Adoro perdermi tra il vento e gli aromi mentre imprigiono nel mio obiettivo frammenti di vita che non torneranno. O forse sì, ma in forma diversa.

Quando il cielo si tinse di rosa, mi fermai a riposare su una panchina a Spui, circondata da artisti di strada che suonavano, dipingevano o facevano ridere i passanti.

Una ragazza attirò subito la mia attenzione. Era seduta per terra, con una gonna lunga fino alle caviglie e un cappello di paglia. Stava dipingendo un volto femminile, mentre chiacchierava con un ragazzo dai capelli lunghi che aveva una chitarra in mano. Sembrava si conoscessero bene, dal modo in cui scherzavano e si prendevano in giro a vicenda.

Il quadro di quella giovane donna mi colpì, i colori delicati che stava usando lo rendevano simile a una fotografia. Mi avvicinai e le dissi che era bravissima. Lei mi sorrise con gratitudine, non sembrava abituata ai complimenti.

«Natalie è troppo modesta, non è consapevole delle sue doti» intervenne il musicista.

«Oh Paul, non esagerare. Non faccio niente di straordinario» rispose la ragazza.

«Ecco, è inutile insistere, è così testarda!» il ragazzo mi guardò con complicità e iniziò a strimpellare una canzone dei Nirvana.

«Questa è una delle mie canzoni preferite» esclamai ad alta voce, quasi senza accorgermene.

«Anche io l'adoro, Paul mi ha fatto conoscere questa musica» disse Natalie.

I due ragazzi videro che avevo la Canon attaccata al collo, e vollero dare un'occhiata ai miei scatti.

«Sono stupende» mi rivelò Natalie, e mi rivolse un altro sorriso abbagliante. Era bellissima quando sorrideva.

Passammo la serata a parlare, io, Natalie e il suo amico. Mi sembrava di conoscerli da sempre. Mi convinsero a esporre le mie foto in piazza, come fossero dei quadri... in fondo per me lo erano.

Da quel giorno ci riunivamo a Spui, e trascorrevamo i pomeriggi insieme, tra pennelli e fotografie, con la chitarra di Paul di sottofondo, e i passanti che spesso compravano le nostre "opere d'arte" a prezzi molto convenienti.

Persa nei colori e nell'atmosfera di quei pomeriggi, mi ritrovai a riflettere... su tutto, anche sulle cose apparentemente banali.

Capii che l'arte in fondo è per tutti.

A volte non basta possedere delle doti tecniche, perché le cose che ci attraggono non sono sempre perfette. In verità spesso non capiamo neanche perché ci piacciono.

L'arte siamo noi. È il mondo che ci circonda, è una chitarra scordata, un oggetto che fa parte della nostra vita, una pennellata data con delicatezza o con violenza, è un tocco di colore che ci rischiara il cuore.

Non si può dare una definizione di arte. La vita è in continuo movimento, e niente di quello che vediamo oggi sarà uguale a domani. E questa è la cosa più eccitante. L'arte ci accompagna giorno dopo giorno nella nostra scoperta del mondo, e ci renderà sempre diversi e carichi di nuove esperienze.

Vicini e lontani nel tempoWhere stories live. Discover now