4. Mamma, papà e l'acqua.

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«Hai tempo per parlare?» Calvin si voltò dalla parte di Kaycee dopo ch'ebbe parcheggiato davanti casa sua. Aveva portato tutti i loro amici nelle proprie abitazioni e lasciato lei per ultima proprio per far sì che rimanessero soli e chiederle cosa le stesse succedendo: sapeva che davanti agli altri non sarebbe riuscita a sfogarsi.

La ragazza lo guardò fisso negli occhi. Non le andava di inventare altre scuse e aveva capito cosa volesse il migliore amico da lei, così come aveva capito che lo aveva fatto apposta a lasciarla davanti casa per ultima e apprezzava molto quel suo gesto, ma proprio non se la sentiva di dire bugie. «Dovrei pranzare adesso, possiamo fare più tardi?»

«Un minuto solo, ti prego. Voglio solo sapere che hai.»

«Sto bene, Cal.»

«Non ti credo.»

Benedetto ragazzo. «Non ho niente!»

«Non è vero, sembra che tu abbia visto un fantasma! E quando eravamo a scuola eri strana. Guarda che non sono scemo, ti conosco da una vita e capisco quando stai male o no.»

Che ragazzo d'oro, sono così fortunata ad averlo come amico!, pensò la ragazza con un tuffo al cuore. Sentiva che di lui poteva fidarsi e, dato che doveva assolutamente sfogarsi e non voleva inventare scuse, sospirò e decise di aprire bocca -mi farà stare sicuramente meglio se lo dico almeno a lui, poi che pensi quello che vuole: «Hai ragione. È vero che sto male e che ho visto qualcosa di strano, ma tu non credere che sto diventando pazza o altro se te lo dico, va bene?»

«Che sei pazza lo sanno tutti, non credo ci sia bisogno di preoccuparsi di questo. Dai, muoviti.»

«E smettila, è una cosa seria! Dicevo: le cose strane che vedo sono persone... ti ricordi della donna di stamattina? Non era uno scherzo, ma penso che tu l'abbia capito -ah, comunque grazie per aver retto il gioco.»

«Di niente... avevo capito che qualcosa non andava. Eri troppo seria e spaventata, ed è vero che sei pericolosa ma mai così tanto da fare una cosa del genere per scherzare. Quindi... quella donna c'era davvero.»

«Sì, Calvin. E ho visto un uomo uguale quando eravamo in corridoio e vi ho detto che sarei andata in bagno -non ci sono andata veramente- l'ho rincorso ma lui poi è sparito. Non sono riuscita a parlargli e a chiedergli che mi stava succedendo, ma allo stesso tempo avevo paura. Magari lui avrebbe saputo spiegarmi tutto...»

«E come erano fatti questi?» Calvin sembrava davvero interessato a ciò che gli stava rivelando l'amica e lei non poteva essere più che grata del fatto che fosse l'unico a non considerarla fuori di testa e che la credesse, soprattutto: con le braccia conserte e l'aria seria -secondo me voleva imitare uno psicologo-, ascoltò la descrizione della strana donna che Kaycee aveva visto per strada senza commentare. «Quindi hanno questa tuta con le macchie colorate?»

«Sì. E attraversano la strada senza preoccuparsi delle auto che passano. Aspetta, usciamo un attimo che mi manca l'aria.»

«Hanno pure le treccine...» Stava dicendo a sé stesso il riccio quando furono entrambi nel cortile vicino la casa di Kaycee, camminando fino a trovarsi sotto a un albero molto grande.

«Non tutti: solo la donna di stamattina le aveva, gli altri no.» E indicò tutta l'altra gente che solo lei riusciva a riconoscere allargando le braccia, anche se lui non vide nessuno.

«Cosa? Sono anche qui?»

«Te l'ho detto, sono dappertutto. Credo di star impazzendo.»

«Aspetta, quanti ne vedi adesso?»

Xìtoni- l'albero della disgraziaWhere stories live. Discover now