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Ritornai sfinita dal piano di sopra e lo trovai esattamente come lo avevo lasciato a cucinare.

Mi risedetti al mio posto, iniziando ad osservarlo con interesse. Ok, forse lo sto un po' fissando.

«Ci sta ancora della sabbia sparsa in giro», ridacchiai. Avevo notato le chiazze sparse sul divano, ricordandomi di come ci eravamo rincorsi la sera prima con i piedi ancora sporchi di sabbia.

Il cuscino stava ancora a terra.

«A mia madre prenderebbe un colpo», disse divertito.

Mi morsi il labbro sorridendo. «Sì, ti metterebbe in castigo probabilmente.»

Jason si voltò, minacciandomi con il mestolo che teneva in mano. «Non mi mettono più in punizione, Moore.»

«Aha», borbottai con tono diffidente.

Il moro mi guardò divertito. «Dopo, quando avrò finito qui, ti farò pentire di avermi provocato.»

«È una promessa?», domandai maliziosa.

«È una minaccia.»

«Dipende come la vedi.»

Lui spalancò gli occhi. «Allora sì che sei sadica.»

Deglutii, intendendo il modo malizioso con chi aveva scandito quelle parole. «Se significa poterti prendere a botte allora sì.»

Osservai il mestolo che teneva stretto in mano, mentre restò pietrificato. Il suo sguardo tradiva i suoi pensieri impuri e io deglutii. Poi però torno a cucinare e io ripresi fiato.

Sorrisi leggermente, pensando al fatto che nessun ragazzo mi aveva mai preparato la colazione.

Una volta Joshua ci aveva provato, ma quella colazione aveva consistito solo di biscotti e un bicchiere di acqua calda. Non mi è ancora chiaro perché fosse acqua calda. Comunque, fatto stava che nessuno mi aveva mai fatto una colazione con così tanta attenzione e cura. Ecco.

Finalmente Jason si girò e posò il piatto tra di noi. Scoprii tutti i miei denti sorridendo.

Jason Filston, mi hai letto nella mente.

Lì, appoggiate una sull'altra mi ritrovavo davanti una pila immensa di crêpes. Era dire poco che mi invitavano ad abbuffarmi.

«Ti sei fatto dare ripetizioni da Tom?», domandai rallegrata.

Spostai nuovamente gli occhi sul cuoco, ormai seduto con un sorrisetto davanti a me. «È assurdo quanto sia bravo quel ragazzo a cucinare.»

«Sì, decisamente», risi, pensando alle porzioni di spaghetti che Tom preparava in genere quando faceva le feste. «Mi mancano i suoi spaghetti.»

«Te li farò fare», disse, ma non mi guardò.

Per mia sfortuna sentii le guance bruciare per il rossore. Così cercai di coprirmele con le maniche della camicia, affondandoci il mio viso accaldato.

Jason era appoggiato allo schienale, le braccia incrociate al petto.

«I miei genitori ormai al giorno del ringraziamento vogliono solo un tacchino cucinato da lui», disse il moro, facendomi ridere,«Sono sicuro che ha una lista di clienti quel coglione.»

Ridacchiai, pensando a Tom in presa a cucinare decine di tacchini. Mi guardò con uno sguardo di sfida. Quante volte avevo visto quello sguardo, avevo sempre detto di odiarlo.

Eppure adesso mi sembra una delle cose più belle al mondo.

«A cosa devo tutto questo?», gli domandai non appena ripresi fiato. Avevo trattenuto l'aria fino a quel momento, senza accorgermene.

ThundersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora