77

24.7K 777 227
                                    

Avrei voluto rispondere qualcosa di confortante per entrambi ma rimasi in silenzio con lo sguardo nel suo.

Era chiaro che cercava di leggere ciò che stavo pensando, ma poi sospirò arreso. Si mise in piedi per dirigersi verso la porta. «Vado a farmi un giro.»

«Dove?»

«Non lo so. Ci vediamo a cena.» Si chiuse la porta alle spalle senza neanche voltarsi.

Quando si fecero le sette entrai in bagno per lavarmi e iniziare a prepararmi per la cena. Andai a prendere i vestiti dalla mia valigia per poi smistare il resto degli abiti nell'armadio.

La borsa di Jason rimase immobile sul divano.

Mi domandai dove potesse essere andato. Ormai erano passate due ore e non avevo sentito neanche una chiamata da parte sua. Era masochismo.

Uscii dalla stanza per incamminarmi verso la hall, dove ci eravamo messi d'accordo per incontrarci con le nostre famiglie. Avevo sempre voluto andare in vacanza con la famiglia del mio ragazzo e ora non ne ero più sicura.

Non ero delusa, avevo solo paura che quella vacanza avesse potuto rovinare la mia determinazione riguardo a Jason.

Avevo indossato il vestito di seta che mi aveva regalato per il mio compleanno, pensando che magari vedendomelo indossare avrebbe realizzato che gli conveniva rimediare alle sue bugie. Avevo sempre amato quel vestito bianco su di me. Lui diceva per strapparmelo di dosso, ma sapevo che anche perché era un suo regalo.

Arrivata al piano terra, dove si trovava l'uscita dell'hotel, mi guardai un po' troppo nervosa in giro, in cerca delle nostre famiglie, ma l'unica persona che vidi fu Jason, il quale stava parlando con una ragazza.

Mi si mozzò il fiato quando incontrammo lo sguardo, per tenerlo ancora fin troppo.

Vedo che siamo tornati alle origini. Dove diavolo erano finiti tutti gli altri? Aveva ancora addosso la sua giacca in pelle con i pantaloni neri. Aveva pure messo i capelli mossi in dietro, probabilmente perché sapeva (dato che glielo avevo detto almeno un miliardo di volte), che mi faceva impazzire quando lo faceva.

Cercai di fare la camminata e lo sguardo più indifferente possibile, mentre mi avvicinai a Jason per chiedergli dove fossero gli altri.

Lui mi venne subito ad incontrare a metà strada, lasciando la ragazza un po' confusa, dato che non la salutò neanche.

«Diventi sempre più bella davvero», mi disse, lo sguardo fisso nei miei occhi, prima di osservare con un sorriso il mio vestito.

Alzai gli occhi al cielo, per poi mentire: «Jason, non hai idea di quanto mi annoia quando fai così-»

«Sappiamo entrambi che non è vero», mi interruppe poi però, lasciandomi a bocca aperta e un po' in imbarazzo. Già, non era vero.

«La smetti di comportarti come se non ti avessi chiesto tempo?», gli dissi irritata.

Sospirò. «Va bene, scusa.» Finalmente un comportamento maturo.

«Dove sono gli altri?», gli domandai non appena il silenzio divenne imbarazzante.

Si passò una mano nei capelli. «Credo stiamo fuori ad aspettarci.»

«Ah, va bene.» Annuii per iniziare ad avviarmi verso l'uscita, lui mi affianco subito dopo. «Dove sei stato queste ore?», gli domandai.

Sbuffò e le porte scorrevoli si aprirono. «In giro, per pensare.»

«Solo?», domandai diffidente.

Lui sbuffò. «Ok, sono andato a farmi una canna, ok? Dio, sei pesante...»

«Sei te che non sai mentire...»

Trovammo le nostre famiglie appostate davanti a due macchine nere che ci avrebbero portati al ristorante. Notai subito come mio fratello indossava un'espressione stanca e sperai che sarebbe stato in grado di uscire con noi stasera. Io avevo bisogno di farlo, ma se mi fossi trovata da sola con Jason avrei fatto dei danni.

«Wow Charlotte», mi acclamò Claire applaudendo con le mani e facendomi così sorridere.

«Smettila, Claire», le imposi in imbarazzo.

Jason mi guardò fiero. «Sei tutta rossa, Moore», sghignazzò e io lo fulminai con lo sguardo.

Sapeva proprio come peggiorare ogni situazione con i suoi commenti. Anche se mi facevano ridere.

«Jason, smettila», gli disse Claire, leggendomi nella mente.

Lui però le diede un bacio sulla guancia sorridente. «Va bene sorellina.»

Ana mi invitò a salire in macchina con lei, mentre mio padre fece lo stesso con Jason. Solo allora ci lanciammo uno sguardo preoccupato a vicenda.

Quando entrammo nell'auto Ana si sedette con uno sbuffò accanto a me.

«È il vestito che ti ha regalato Jason, vero?», mi domandò incuriosito suo padre.

«Sì. È il mio preferito», risposi. Vorrei dire che era una bugia ma mentirei.

«È molto bello, cara. Mi ricordo che mi aveva chiesto il mio parere prima di comprarlo», aggiunse Ana, il che purtroppo mi fece sentire peggio di prima.

Mi chiedevo di cosa stessero parlando Jason e mio padre nell'altra macchina. Speravo non di noi due, papà aveva il vizio di parlare di cose mie con i miei amici.

Feci cadere lo sguardo sulle mie mani.
Restarono tutti in silenzio, poi Ana, come se mi avesse letto nella mente, mi prese la mano per confortarmi: «Charlotte, avete litigato, non è vero?»

La guardai con espressione sconvolta, ma mi fu subito chiaro che era assurdo nasconderlo, quindi annuii in silenzio.

Mi portò un braccio sulle spalle per consolarmi:«È normale, Charlotte, non ti preoccupare.»

«Lo so...»

«Sono sicura che risolverete tutto», mi confortò sincera. Sapevo che lo era, ma non mi consolava affatto.

Avrei voluto parlarle e raccontarle tutto, ma arrivammo al ristorante e non avrei voluto per nulla al mondo che Jason scoprisse che stavo parlando con sua madre di noi.

Scesa dall'auto, con l'orlo del vestito in mano per non bagnarlo, alzai lo sguardo, trovando Jason con un'espressione stranamente seria e il braccio piegato verso di me, per invitarmi a prenderlo.

«Posso?», domandò insicuro.

Notai come i nostri famigliari si avviarono in fretta verso l'entrata del ristorante per via del freddo.

Mi rivolsi a Jason con un'espressione incredula per il suo comportamento:«Non penso sia giusto da fare. Se siamo in una pausa non significa che puoi portarmi sotto braccio.»

Abbassò il braccio e si morse il labbro con forza. «Lo so. Scusami.»

Sentii un colpo al cuore: Jason Filston che mi chiedeva scusa dispiaciuto. Non pensavo di vederlo spesso, ma non mi piaceva affatto.

Sospirai, arresa, per poi prendere il suo braccio a me. «Hai vinto te», ammusì prima di fargli cenno col capo di entrare.

Mi guardò a bocca aperta, ma poi sorrise per accettare. «Io vinco sempre, Char.»

«Certo. Continua a illuderti.»

«Non ce n'è bisogno perché è così», sbottò sincero. Ci scambiammo uno sguardo, entrambi un sorriso beffardo sul viso. Ecco perché lo amavo. Eravamo semplicemente uguali.

ThundersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora