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"Per oggi abbiamo finito" disse Chan, chiudendo la cartella che teneva sulle ginocchia. "Stiamo valutando la possibilità di ritrasferirti nella tua stanza"

Poggiò il mento sulla mano, osservando le reazioni del corvino, aspettando una risposta o un cenno a quell'affermazione.

Minho era sul letto, in posizione fetale, lo sguardo fisso sul medico.

Le gambe erano scoperte dalle lenzuola, il camice non arrivava alle ginocchia, i capelli spettinati gli coprivano in parte il volto magro, scavato.

"Pensiamo sia passato abbastanza tempo..." - "Tu cosa ne pensi?" Continuò il medico.

Il corvino aprì la bocca, sussurrando quello che ripeteva ad ogni domanda che gli veniva posta "Alice"

Il biondo sospirò, abbassando gli occhi "Alice non è qui, Minho"

Era passato più di un mese dall'incidente.

Avevano tenuto il corvino in isolamento: inizialmente aveva continui scatti d'ira, seguiti da crisi di pianto. Non mangiava, non dormiva.

Ma nelle ultime settimane pareva essersi rassegnato: Alice non avrebbe più fatto ritorno.

Ogni tanto, quando gli ponevano delle domande chiedeva di lei, ma non si alterava. La sua mente era bloccata, in uno stato impenetrabile, incapace di accettare ciò che aveva fatto con le sue stesse mani.

Non era arrabbiato Chan, l'unica cosa che sentiva era pietà: pietà per quell'anima dannata ... e per Han.

Non erano riusciti a capire cosa spingesse il corvino a chiamarlo Alice, ne cosa c'entrasse il paese delle meraviglie e perché volesse così tanto andarci.

Avevano provato diverse terapie, fino a trovare quella che lasciava in uno stato di quiete il paziente.

Ma il problema rimaneva.

Tuttavia, non potevano lasciarlo ancora per molto in quella stanza senza finestre, legato al letto come un animale.

Non aveva colpa della sua follia.

Ventidue Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora