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Una volta alla settimana, il medico dai capelli biondi portava un nuovo mazzo di fiori davanti a quella stanza ancora sotto sequestro.

Ogni tanto veniva aperta per far entrare le autorità. Sul pavimento erano ancora ben visibili le macchie di sangue, così come sul candido muro.

Respirò profondamente, entrando nella guardiola delle infermiere.

"Ho bisogno di aiuto, dobbiamo trasferire Lee" disse, gelando le donne sedute, impegnate in svariate mansioni come il controllo di cartelle, l'inventario o altro.

"Beh? È il vostro lavoro, muovetevi" disse richiudendosi la porta alle spalle.

Tre delle infermiere più anziane si alzarono e seguirono il biondo, che estrasse il badge dalla tasca ed aprì la prima porta. L'infermiera poi gli porse la chiave per la porta di sicurezza della stanza: Una lastra d'acciaio, da cui si poteva vedere l'interno solo grazie ad un rettangolo di doppio vetro.

Aprì la porta, entrando nella stanza vuota.

Il paziente era rannicchiato sul materasso, il viso nascosto tra il cuscino e i lunghi ciuffi corvini.

"Lee, siamo pronti. Ti riportiamo nella tua stanza" disse avvicinandosi lentamente, fermandosi ai piedi del letto.

"Lee?"

Il corvino alzò lentamente il volto, poi puntò le iridi vermiglie sul medico.

"Ora ti dobbiamo toccare" Disse il biondo, facendo cenno alle donne dietro di sé di avvicinarsi.

Il corvino annuì soltanto, non emettendo nemmeno un suono dalle labbra screpolate.

Si sentì afferrare per le spalle, poi portarsi i polsi dietro la schiena e legarli strettamente, immobilizzandoli le braccia in quella posizione innaturale.

Fu afferrato saldamente per le braccia doloranti da due infermiere, mentre il biondo camminava davanti a lui e una terza infermiera dietro a controllare la situazione.

Le luci al neon dei corridoio era forte, accecante rispetto a quella che aveva nella sua stanza, cosa che lo portò a stringere gli occhi.

Camminarono in silenzio, i piedi nudi che toccavano il freddo e plastico pavimento gli pizzicavano tant'era il tempo che aveva smesso di camminare.

Dopo pochi minuti, arrivarono davanti alla stanza 22, esattamente di fianco a quella sotto sequestro.

Minho fissò la porta, e poi i candidi fiori.

"Ad Alice piacevano rossi" sussurrò, la voce roca, come se si fosse appena svegliato da un sonno profondo

Chan, che intanto aveva aperto la porta, si voltò guardando il corvino, gli occhi sofferenti fissi sui fiori poggiati a terra.

"Che cosa?" Chiese. Quella era l'unica volta che aveva parlato di sua spontanea volontà nelle ultime settimane.

"I fiori" Rispose serio, spostando lo sguardo su quello del medico fermo sullo stipite.

Chan sospirò stanco, fece cenno alle infermiere di accompagnarlo dentro, e il corvino non fece resistenza, continuò solo a fissare i fiori fino a che gli fu possibile, poi la porta della stanza 22 si chiuse.

Le infermiere lo slegarono e uscirono lasciandolo da solo con il medico.

Minho si toccò disinteressato i polsi, e osservò la sua stanza.

La stessa scrivania bianca, lo stesso letto vicino alla finestra, la stessa libreria ... e soprattutto lo stesso libro.

Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, osservò i segni neri delle iniezioni, chiedendosi perché quello fosse ancora li con lui.

Si osservarono a vicenda, poi il rosso parlò sedendosi sulla sedia della scrivania.

"Ad Alice piacevano rossi? Te l'aveva detto lei?"

Minho camminò lentamente, barcollando verso la piccola libreria, sotto lo sguardo del medico che annotava ciò che vedeva e sentiva.

Accarezzò il dorso del libro, - Alice nel paese delle meraviglie - e poi lo prese tra le mani pallide e magre. Lo osservò, probabilmente era l'unica cosa di cui avesse sentito veramente la mancanza.

Poggiò la fronte sulla copertina, ispirando l'odore di carta impolverata, accarezzandolo quasi come fosse una persona.

-Ecco il legame - Pensò Chan, continuando ad osservare le azioni del moro.

Scostò il libro dalla sua pelle, stringendoselo al petto, poi camminò verso il letto e si sedette rannicchiandosi con le ginocchia al petto. Il libro stretto in una morsa tra le ginocchia e lo sterno.

La testa dritta, poggiata contro il muro, sporcandosi i capelli corvini di intonaco.

Non che gli importasse.

Fissò il medico, e dopo un tempo indefinito finalmente parlò.

"Non lo sa?" Gli chiese, facendo alzare un sopracciglio al rosso, non seguendo il corvino.

"Che cosa?"

"Ad Alice piacevano rossi" - "Li dipinse uno ad uno, petalo per petalo... dal bianco purissimo al rosso, come..."

"Come?" Chiese serio, notando lo sguardo vacuo dell'altro.

"Il sangue" Mormorò.

Chan non si scompose, annotò le parole del moro, e poi tentò un approccio più diretto.

Non erano mai riusciti a parlare con lui dell'incidente, ogni volta gridava disperato, richiudendosi nel bozzolo di lenzuola.

"Vuoi parlarmi del ... sangue?"

"No ..." - "Lei, lo sapeva che Alice e il Cappellaio si amavano?"

"Conosco la storia, e non c'è nessuna storia d'amore" Disse aggiustandosi gli occhiali rossi sul naso

"Ma loro si amavano, profondamente. E nemmeno la pazzia potrà cancellarlo" Il corvino appoggiò la fronte sulla ginocchia, chiudendosi nel suo silenzio.

Chan aspettò prima di continuare a parlare, aspettandosi che magari potesse aggiungere dell'altro, e in parte per assimilare le sue deliranti parole.

Ma il corvino non parlò, così lo fece lui.

"Da domani inizieremo con la terapia orale, così non dovremmo più bucarti la pelle. Dovresti mangiare di più ... non ti fa bene digiunare. Per oggi abbiamo finito, ci vediamo domani Lee"

Il corvino ascoltò il medico e lo osservò uscire, le sue parole erano così familiari.

Ventidue Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora