Capitolo 1. Il patto

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Ho sempre pensato che la mia vita -per quanto imperfetta e complicata- fosse ricolma di felicità.
Insomma la mia famiglia era unita ; "poveri ma felici", era diventato il mio motto personale.
Non avevamo molto, questo è vero, ma ciò che avevamo lo abbiamo sempre diviso tra noi, come fanno tutte le famiglie immagino.
Mi ritenevo fortunata ad avere tutti loro, amavo la mia vita, ingenuamente parlando ovviamente.
Adesso so di essere stata una povera illusa nei miei ventisei anni, ho imparato anche troppo bene che non si può vivere di soli sogni, che tutto non è mai ciò che sembra.
La felicità è solo una fregatura del resto, e  prima lo capisci meglio è, ovviamente io l'ho capito troppo tardi.
Ho visto la mia perfetta vita felice andare in mille pezzi davanti a me, la nostra bella bolla rosa esplodere neanche vi avessi lanciato contro una bomba a mano.

Mi hanno trattato come carne da macello...

Penso tra me e me con un moto di rabbia omicida, ancora una volta desidero ardentemente poterli rivedere ancora una volta per avere la mia vendetta.
So che non cambierebbe affatto la mia posizione ma attualmente è l'unico pensiero che mi fa andare avanti.
Da quando mi sono risvegliata in questo posto così irreale -nonostante sia più che tangibile la sua esistenza- non ho fatto altro che domandarmi come diamine abbiano potuto farmi una cosa del genere,  e soprattutto come faranno a convivere con tutto ciò?
Come si fa a sbarazzarsi di una figlia così velocemente?
Inevitabilmente la mia mente decide di farmi rivivere tutto quanto per l'ennesima dannata volta.

Inizio flashback

Sono a lavoro e, come ogni volta mi ritrovo a ridere felice e spensierata con la mia piccola Jenny, la bambina di cui mi occupo tutti i pomeriggi da ormai quattro anni, i genitori purtroppo sono sempre troppo soffocati dai rispettivi lavori, uno avvocato e l'altra un medico in carriera.
È così triste che una bambina così solare e gioiosa non possa giocare con la sua mamma e il suo papà come sta facendo adesso con me.
Ovviamente non posso cambiare le cose ma ciò non toglie che è tutto così ingiusto per me.
Da una parte i genitori si stanno perdendo gli anni più belli della bambina -ha da poco festeggiato il decimo compleanno- e dall'altra Jenny trascorrerà troppo poco tempo con loro, prima che cresca abbastanza da voler uscire con le sue coetanee.

La vita è ingiusta, e io questo lo so molto bene...

Mi ritrovo a pensare mentre la aiuto a sistemare il tappeto gommato che usa regolarmente per giocare con la LEGO ,il suo attuale gioco preferito.
Così spaccio in fretta quel cupo pensiero e mi concentro interamente sulla mia piccola compagna di giochi.

《Allora Jenny, perché non inizi a preparare tutto mentre ti preparo qualcosa da mangiare?》le chiedo usando un tono normalissimo come se stessi parlando ad una mia coetanea.
Ho sempre pensato che sia alquanto offensivo rivolgersi ai bambini facendo stupide vocine e versetti ridicoli, come se fossero stupidi!

《Va bene, Jo.》esclama lei con un gran sorriso che le illumina il volto, mentre inizia a disporre con un certo ordine i mattoncini di plastica sul tappeto di rosso, leggermente scolorito per il continuo uso ripetuto.
Mi ritrovo a sorridere a mia volta mentre con passo svelto mi dirigo in cucina, lasciando la piccola intenta a costruire qualcosa di ancora indefinibile.
A volte vorrei possedere ancora l'innocenza e la spensieratezza tipiche della sua tenera età, ma a ventisei anni - compiuti lo scorso mese- ho già sulle spalle un grosso fardello tipico della dura realtà.
Orfana di entrambi i genitori quando avevo poco più di due anni, a causa di un maledetto pirata della strada, venni adottata dopo pochi giorni  da una meravigliosa famiglia.
Nonostante vediamo tuttora in condizioni precarie, non ci hanno -a me e a mio fratello Luke- mai fatto mancare niente, né mi hanno fatta sentire un estranea, anzi fin da subito mi hanno sommersa di amore e attenzioni.
Li ho sempre considerati la mia famiglia, anche perché ho pochissimi ricordi dei miei genitori biologici, ricordo un vago calore provenire dai loro volti sfocati nella mia mente, non ho neanche una nostra foto o un qualsiasi altro oggetto tranne la tutina rosa che ancora conservo nel mio armadio.
Ogni volta che penso a loro un senso di tristezza prende possesso di me, e anche di rabbia per non aver avuto la possibilità di crescere assieme a loro, per non ricordare neanche le loro voci.
Provo odio nei confronti di quel dannato ubriacone che mi ha strappato da loro per sempre, quel giorno di ventiquattro anni fa.
Come ogni volta che mi succede di pensare a loro, scaccio tutto quanto dalla mente, rassegnata ormai al fatto che non potrò mai fare niente per cambiare il passato, ma posso comunque fare del mio meglio per rendere fiere entrambe le mie famiglie.
Senza neanche rendermene conto ho già finito di preparare la merenda a Jenny -un panino con del burro di arachidi, il suo preferito- e sbirciando velocemente l'orologio, mi rendo conto che tra pochi minuti i suoi genitori dovrebbero rientrare dal lavoro.

Et lux in tenebris: infernumDove le storie prendono vita. Scoprilo ora