Capitolo 29

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Ci sono pochissime cose che mi fanno davvero preoccupare nella vita; cose che mi fanno restare in silenzio a riflettere seriamente sulle mie azioni; cose che mi fanno capire di aver preso la decisione sbagliata. Tra quelle vi è sicuramente la notte attualmente in corso. 

«Ma quanto ci mettono?», chiede Dastan sbuffando. Si gira attorno e resta in piedi ad osservare il quartiere silenzioso illuminato dai lampioni. 

«Questa cosa mi sta facendo impazzire», rispondo rigirando la sigaretta accesa tra le dita. Sono seduta sui gradini davanti la casa di Connor, mentre lui sta cercando di risolvere l'intera faccenda con sua madre. A volte ho udito delle urla, ma in questo momento regna la pace. 

«Fa fresco», commenta il mio amico saltellando leggermente sui piedi. Io aspiro il fumo dalla sigaretta e aspetto con impazienza che Connor esca fuori per informarmi. Qualche minuto dopo, tra il suono dei grilli, lo sento uscire dalla porta, così mi alzo di scatto e mi giro nella sua direzione. Indossa ancora il suo pigiama mentre trascina la mia valigia e quella di Dastan verso di noi. Sembra essere esausto. 

«Mi dispiace», dice solamente mentre le luci in casa si spengono. 

Dastan afferra le valigie «Chiamo un taxi», io annuisco. Mi butto subito tra le braccia di Connor e lo stringo forte, lui ricambia l'abbraccio e mi lascia un bacio tra i capelli scompigliati. 

«Ho dovuto dirle tutta la verità», afferma con dispiacere. Io alzo lo sguardo sul suo viso. 

«Anche su di te?», domando e vedo il suo tatuaggio sul collo completamente scoperto. Questa è la cosa che temevo di più. 

«Volevo creare una storia attorno per giustificare l'accaduto, ma quando l'ho guardata negli occhi non ce l'ho fatta. Aveva il diritto di sapere, Lex-», si siede sui gradini«-e mi sento così male. L'ho delusa. Ho deluso tutti.»

«Non dire così», mi siedo accanto a lui e gli prendo la mano «Volevi darle una vita migliore. E' tua madre, capirà.»

«Le ho detto che sono innamorato di te», lo guardo per incitarlo a continuare, anche se prevedo una risposta negativa «Mi ha ordinato di stare lontano da te e di rimanere in Australia definitivamente.» Sento gli occhi inumidirsi e una strana sensazione al petto. Mi alzo dai gradini e rivolgo lo sguardo verso la strada deserta. 

«Tu cosa hai deciso?», mi permetto di chiedere anche se immagino la risposta. 

«Sicuramente non starò lontano da te», risponde venendo verso di me «Ma non posso neanche perdere mia madre, è tutto ciò che mi resta.»

«E come vorresti conciliare entrambe le cose?», incrocio le braccia al petto cominciando ad innervosirmi. 

«Non lo so», si porta una mano dietro la nuca e mi guarda come se la risposta fosse ovvia «Potresti trasferirti qui.»

Sgrano gli occhi e quasi mi viene da ridere «Hai dimenticato la mia missione? Non posso lasciare Rockford.»

«Puoi trasferirti dopo che tutto sarà finito.»

«Connor-», il suono della mia breve risata isterica lo fa innervosire «-non posso.»

«Ti prego, almeno pensaci», insiste lui prendendomi le mani «Non volevi cambiare vita? Quale modo migliore di ricominciare se non qui, con me?»

«Posso ricominciare la mia vita anche a Rockford, infondo è quella la mia casa.»

«Ma là non ci sarò io.»

Il mio cuore fa un balzo e sento una stretta allo stomaco «Non posso», le parole escono dalla bocca come un sussurro e sento le lacrime agli occhi. Connor mi guarda con un'espressione delusa in volto e stringe i pugni, il suo labbro inferiore trema leggermente e distoglie lo sguardo per non scoppiare a piangere. 

«Quindi finisce davvero così?», chiede guardando i cespugli del vicino «Ti ho portata qui per farti conoscere il mio mondo e per convincerti a stare con me, ma tutto finisce comunque per un motivo completamente differente e-», la sua voce comincia a tremare «-stupido.» 

«Non è stupido, Connor. Vuoi stare al fianco di tua madre e lo capisco, ma io non posso lasciare la mia vita per trasferirmi da te, per trasferirmi in un posto che nemmeno mi piace», rispondo alzando la voce. 

«Non ti piace Darwin?», domanda stupito. 

«Non è la città il problema, sono le persone. Ho vissuto in un contesto totalmente diverso, sono abituata a un altro tipo di vita. Quest'aria mi soffoca, Connor. Mi soffoca, e tu non lo capisci.»

«Allora ti soffoco anche io, perché questo è il mio tipo di vita», dice portandosi le mani tra i capelli, sembra sul punto di esplodere e so che vorrebbe urlare. Lo vorrei anche io. 

«E' finita, Connor. Inutile girarci intorno, sapevamo fin dall'inizio che sarebbe andata a finire così», dico a malincuore. Sento che sto per piangere ma mi trattengo, non voglio sembrare una ragazzina ferita davanti agli suoi occhi. Mi stavo trasformando in qualcuno che non sono e finalmente il problema stava per essere risolto. 

Il ragazzo castano si precipita verso di me e mi da uno spintone, il suo viso a pochi centimetri dal mio «Tu lo sapevi fin dall'inizio! Io pensavo che c'era una speranza per noi due, io ero l'unico che credeva in questa relazione, e tu-», mi punta un dito contro il petto «-tu hai rovinato tutto.» 

Non posso contraddirlo, ha completamente ragione. Per quanto le sue parole mi stanno ferendo nel profondo, resto comunque in silenzio, trattengo le mie emozioni e stringo i pugni lungo i fianchi. Ha diritto di sfogarsi e io ho imparato a resistere. 

Prima che Connor potesse aggiungere qualsiasi altra cosa, Dastan ci interrompe. Viene in mia direzione, ha il cellulare in mano, il fiato corto come se avesse corso e una faccia da funerale. 

«Kurt è tornato», dice con tono deciso mentre in me si accende un campanell d'allarme. Mille emozioni percorrono il mio corpo e sento i brividi addosso. Per un istante dimentico di avere Connor affianco. 

«Dobbiamo andare», mi ricompongo e mi rivolgo verso il ragazzo che ormai posso considerare ex-fidanzato. Non siamo durati neanche due giorni e la cosa mi spezza il cuore. Lui in tutta risposta si gira verso casa e a passi veloci entra dentro. Dastan resta perplesso ma non avendo tempo per discuterne, lo trascino verso il taxi parcheggiato poco distante. Sento la testa martellarmi e mi chiedo perché il destino abbia un tempismo di merda. 

Entriamo nel taxi e Dastan ordina all'autista di portarci velocemente all'aeroporto. Abbasso leggermente il finestrino per prendere aria mentre il ragazzo al mio fianco mi fissa. 

«Ti hanno avvisato Scott e Martin?», chiedo volendo sapere ogni minimo dettaglio. 

«Sì, Kurt si è presentato al magazzino all'improvviso. Non riescono ancora a capire come non si siano accorti del suo spostamento. Il rilevatore segna che Kurt è in Texas.» 

«Merda. Chissà da quanto tempo si trova a Rockford, chissà da quanto tempo ci osserva», comincio ad agitarmi sul sedile «Siamo fottuti. Siamo tutti fottuti.»

«Devi mantenere la calma. Scott gli ha detto che io e te ci troviamo in Australia per un incarico e che ora stiamo tornando, sembra esserci cascato.»

«Mio padre non è stupido», dico a denti stretti. Lui sa qualcosa, ne sono certa. 

Restiamo in silenzio per un po'. Il taxi ci lascia davanti l'entrata dell'aeroporto mentre l'orologio digitale dell'autista segna le quattro del mattino. Usciamo dall'auto e prendiamo le valigie, dopo aver lasciato delle banconote in mano all'uomo tozzo, il quale si rimette in macchina e riparte. 

 Dastan posa lo sguardo su di me «Connor non viene?»

«Abbiamo chiuso», rispondo impugnando il manico della valigia. Mi dirigo verso l'entrata a passo svelto e non mi giro nemmeno per vedere se Dastan mi sta seguendo. 

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