Prologo

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"Vi sono perdite che comunicano all'anima una sublimità, nella quale essa si astiene dal lamento e cammina in silenzio come sotto alti neri cipressi."
Friedrich Wilhelm Nietzsche

Ambulanze, sirene, grida, piagnucolii, lamenti.
Erano da due giorni che questi suoni mi tormentavano la testa.
Sapete che vuol dire perdere un genitore? Bene io sì!

Due giorni fa, persi mia mamma.

Una donna forte e piena di coraggio, io e lei eravamo fuoco e benzina, un'unica cosa.

Vi fu un rapporto indescrivibile che ci legò, vi fu del rispetto naturalmente, ma fummo come due anime gemelle inseparabili. Già esatto, ci fu quel rapporto così stretto fra noi che il solo pensiero di riuscire a trovare qualcuno come lei in un lontano futuro, mi tormenta l'anima, sgretolandomela.

Non tutti hanno la possibilità di avere un buon rapporto con la propria madre, siamo nel ventunesimo secolo, ormai chi andava più d'accordo con i propri genitori? Be', se qualcuno se lo stesse chiedendo, quella sono io. Finché quel legame madre figlia non fu interrotto, noi andammo d'amore e d'accordo, mi ritenni molto fortunata finché durò.

La lacrima che mi iniziò a rigare il viso fu interrotta da dei singhiozzi provocati dal pianto.

Io mi creai una bolla di vetro e non mi importò più di nessuno e di niente poiché la paura di essere nuovamente felice, superò ogni mia aspettativa.

Odiai la gente che mi diceva di stare tranquilla, che mia madre fosse li con me, ma io non la vidi.

Non c'è!

Cazzate su cazzate.

Le loro parole non possono riportarmi indietro l'unica donna che abbia saputo completarmi e capirmi veramente.

A distogliermi dai miei pensieri, furono le urla dei miei amici che gridavano il mio nome.
Alessandra, Michele e infine la più piccola, Roberta.

Loro furono come la mia seconda famiglia, rimasi un po' sorpresa dal fatto che fossero venuti, nonostante io gli avessi detto di non venire poiché non volevo che tutto il mio dolore accigliasse anche loro.

Si avvicinarono sempre di più finché non li ritrovai dinanzi a me.

Mi assalirono come se non mi avessero vista da molto tempo.

Non riuscii a capire se questa cosa mi desse fastidio o conforto.

Ma di certo l'unica cosa che volevo era un po' d'affetto, quello che non avrò mai più da mia madre.

La piccola Roberta fu la prima a stringermi tra le sue braccia, emanò un calore assurdo e mi sentii a casa.

La stessa cosa fecero Michele e Alessandra, che non persero nemmeno un secondo per abbracciarmi e riempirmi di baci.

Per un attimo mi sentii bene.

Passammo quel lungo pomeriggio ricco di dolore a chiacchierare del più e del meno, i miei amici cercarono di strapparmi un sorriso in tutti i modi possibili e immaginabili ma niente, questi volarono insieme a mia madre.

Lei non avrebbe voluto vedermi così poiché ciò che sarebbe successo in futuro vi fu scritto, lei stessa mi disse che non sarebbe durato a lungo, e io mi sarei dovuta rassegnare in partenza, ma come si supera un dolore alquanto grande?

Il dolore fu più forte di ogni mia minima tentazione, poiché un dolore così forte, non sarà mai colmabile.

Una ferita così grande non si potrebbe mai colmare, un vuoto così grande non si potrebbe mai riempire.

Quel giorno non toccai il cibo, persi del tutto l'appetito, notai la presenza di capogiri, quindi decisi di ingerire qualcosa, andai in cucina, con la speranza di riuscire soprattutto a mangiare.

Nel mio paese vi era solito che un ristorante, per stare vicino alle famiglie in modo concreto, portasse del cibo per far sì che i familiari del defunto non si dovessero disturbare a cucinare.

Arrivai in cucina e vidi sul tavolo una carta di un bar con scritto "F.lli Miano" capii da subito che si trattasse di tavola calda.

Presi quel che restava e pian piano riuscì a ingerire qualcosa dopo ormai due giorni di digiuno, e finalmente i capogiri cessarono.

Finii di mangiare e andai sulla bara di mia madre, ancora aperta, mi feci coraggio a vederla, poiché prima di questo momento morta non l'avevo ancora vista.

Mi avvicinai sempre di più e la vidi, quanto era bella, era il sole.

La vestirono con tanta eleganza mai vista prima, come se stesse andando a un evento importante.

Aveva un colorito bianco, le toccai la faccia ormai gelata.

Per un attimo mi sembrò stesse dormendo, con ingenuità decisi di fare di tutto per svegliarla, ma con scarsi risultati e ciò mi ferì abbastanza da farmi realizzare che mia madre se ne era andata veramente.

Non capii cosa mi stesse succedendo, ma fatto sta che presi mia madre per le spalle e la strattonai a destra e sinistra gridando di svegliarsi, con la voce tremula e interrotta dai singhiozzi, ma non ricevetti nessun segnale da parte sua.

Continuai a non capire nulla, iniziai a gridare come una disperata, poiché non mi diedi pace, non accettai il fatto che mi tolsero la parte migliore di me. Rimasi nella convinzione che stesse dormendo, lo vidi; che mi sorrise.

Sentii qualcuno tirami via dalla bara di mamma, io continui a piangere e mugolare cose indecifrabili.

Alzai lo sguardo per vedere chi fosse la persona che mi portò via da mamma, e vidi mio papà.

Dal nervosismo gli cominciai a tirar pugni stracolmi di dolore, in pancia, ma lui più forte di me mi fermò e mi racchiuse nelle sue braccia.

«La mamma ti ama» mi disse con voce calda e rassicurante.

A quelle parole mi scese una lacrima, mia mamma mi amava e non smetterà mai di farlo.

Non mi accorsi neppure di essermi addormentata fra le braccia di papà, alzai la testa e vidi che anche lui si addormentò, mi fece pena.

Mi staccai dalle sue braccia e andai a vedere che ora fosse. Ormai sera, decisi di non mangiare neanche, andai in camera mia, mi gettai a peso morto sul letto e senza neanche accorgermene mi addormentai per la seconda volta.

A parte te nulla di specialeWhere stories live. Discover now