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-Lasciatemi andare, lasciatemi! - sbraitò contro gli uomini che la costringevano a proseguire.
-Lasciatemi! -
-Caroline, urlare non serve a niente! Se continui non otterrai nulla, anzi, di questo passo ti dovremo sedare. -
A quelle parole si calmò, ma senza smettere di tentare di scrollarsi da dosso quei due bestioni.
La portarono dentro una stanza bianca, con una grossa parete a vetri alla sua destra.
La lasciarono senza troppe cerimonie su una scomoda sedia di metallo freddo, e le ammanettarono i polsi al centro del tavolo davanti a lei.
L'uomo che aveva parlato prima si sedette su una sedia dall'altro lato del tavolino, e la guardò per un paio di minuti mentre si dimenava senza nessun obbiettivo certo.
-Allora, Coraline, è così che ti chiami giusto? - chiese estraendo alcuni moduli da una cartellina arancione.
Lei non rispose, si fermò semplicemente e si sistemò come meglio poteva, poi annuì.
-Hai 17 anni, e frequenti il liceo di Scienze umane della tua città, anche questo è esatto?-
Annuì di nuovo.
L'uomo tirò un sospiro.
-Caroline, il tuo comportamento aggressivo non giova a tuo favore, lo sai? Se non mi rispondi giustamente le accuse contro di te si aggraveranno per intralcio alla giustizia.- disse nel modo più dolce e comprensivo possibile, ma lui aveva già capito che quel metodo non avrebbe funzionato con lei. Essere gentili non era la chiave, e lui aveva lavorato con ragazzi molto più problematici di lei, ma non aveva mai avuto queste difficoltà.
Lei era diversa.
-In che modo posso sapere di aver risposto giustamente, signore?- replicò la ragazza in modo arrogante, sottolineando l'ultima parola con particolare odio.
-Rispondere a parole è già un modo giusto di discorrere, mia cara.- spiegò con una punta di sollievo il dottore.
-Iniziamo col presentarci, io sono Herman D.  Hallow, e sono qui per... - ma non fece in tempo a finire che la ragazza lo interruppe, alzandosi di scatto.
-So bene perché è qui! Quella figlia di puttana le ha detto di farmi cantare. Ma sappia, mio caro signore, che io non dirò proprio niente! Da me non saprete nulla! -
Herman proseguì con calma.
-Per quale motivo dici che noi non sapremo nulla da te? -
Lei fece un sospiro e si risiedette.
-Perché io stessa non so nulla. -
Ci fu qualche minuto di silenzio, e in quei momenti di tranquillità Caroline ebbe l'occasione di guardare bene in volto l'uomo davanti a lei.
Era sulla cinquantina, capelli grigi tendenti al biondo, occhi grigio marmo che scintillavano di attenzione sotto le sottili lenti degli occhiali.
-Posso farti un'altra domanda, Caroline? -
Lei annuì in silenzio.
-Perfetto. Qui c'è scritto che tu e Tiffany eravate amiche, ma allora una domanda mi sorge spontanea: perché l'hai uccisa? -
Caroline si alzò di scatto, facendo volare all'aria tutte le carte sul tavolo, e cogliendo di sorpresa anche il dottore.
-Io non l'ho uccisa! Non sono stata io, non è colpa mia! Perché non lo volete capire?! Io non ho ucciso Tiffany! -
-Va bene Caroline, ti credo. Ma tua zia ha espressamente detto di averti trovata... -
-Non me ne frega un cazzo di quello che ha detto quella puttana! Io non ho ucciso Tiff!-
L'uomo la guardò di nuovo, e improvvisamente sul suo volto si fece strada un'espressione diversa dalla calma e della piena padronanza di sé. Per la prima volta dopo anni, quell'uomo era stanco.
I suoi occhi grigi ora erano vuoti, la pelle del viso si afflosciò, mostrando tutto il peso degli anni, e il suo sorriso era malinconico, quasi dispiaciuto.
-Ok, Caroline, mi stai ascoltando? Bene, ora ti racconterò una storia. La storia di una bambina, una bella bambina con ancora tutta la vita davanti. I genitori la amavano, ma vennero a mancare, e lei andò a vivere dalla zia, e crebbe lì.
Non aveva cugini, e nella nuova città si annoiava molto, quindi decise di trovarsi degli amici. Incontrò una ragazza, della sua stessa età, che abitava nell'isolato vicino, e divennero subito amiche.
Arrivò il giorno del diciottesimo compleanno della nuova amica della ragazza. Lei le confidò che avrebbe voluto partire, viaggiare, vedere il mondo. E che sarebbe andata a vivere lontano, trasferendosi dal New Jersey all'Ohio. Ma questo, alla nostra protagonista non andava bene, lei voleva che la sua amica rimanesse con lei per sempre, e questo non era possibile. La nostra povera ragazza, presa da un attacco di gelosia, attaccò l'amica, spingendola giù dal tetto della sua stessa casa, dove loro si trovavano.
Questa storia ti è familiare? -
La ragazza ora fissava il tavolo, mentre silenziose lacrime le bagnavano il viso.
-No.- sussurrò.
-Davvero? E perché? -
-Perché Tiff non voleva partire, erano i suoi genitori a volerlo. - fece una pausa. -E perché lei, quel giorno, era a casa mia. -

-𝕮𝖆𝖗𝖔𝖑𝖎𝖓𝖊- 𝚃𝚑𝚎 𝙲𝚛𝚘𝚠Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin