Capitolo 2 - L'uomo ombra

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Non si erano mai accorti di lui, nonostante facessero colazione in quella tavola calda tutte le mattine, e perché avrebbero dovuto? Negli anni della sua infanzia aveva imparato a diventare un'ombra, a farsi invisibile, a smettere di respirare, mimetizzandosi con l'arredamento. Restava immobile, ignorando le grida attorno a lui, concentrandosi solo sul battito del suo cuore che rallentava, facendosi via via più regolare.

Quando li vide entrare, ebbe un sussulto. Solo poche persone se ne sarebbero accorte, ma non era abbastanza, non poteva permettersi di compromettere tutto, non poteva essere debole, non a quel punto. Aveva dato inizio al gioco e non poteva più tirarsi indietro.

Aspettò di essersi calmato prima di avvicinarsi con i menù. I due detective si erano seduti al solito posto, uno di fronte all'altra, lui con la barba di un paio di giorni, lei con i capelli castani raccolti in uno chignon che le conferiva un aspetto vagamente androgino, l'anello aveva luccicato quando si era tolta il trench.

Guardavano il menù ogni volta, anche se poi ordinavano il solito, «Un cappuccino con latte di soia per lei e per me un caffè espresso.»

Lei gli sorrise quando tornò con le loro ordinazioni, le loro mani si sfiorarono mentre le allungava il cappuccino.

Il detective Lawson, solitamente allegro, teneva lo sguardo basso, aveva l'aria stanca, di chi non aveva chiuso occhio tutta la notte. Il caso di cui si stava occupando doveva aver risvegliato qualche vecchio fantasma.

Lo notò anche Julie, «Tutto bene? Non hai una bella cera.»

«Oh, grazie tante.»

«Sono anche stata gentile. In realtà hai un aspetto orribile.» lo prese in giro, «Guarda, ti lascio anche il mio cappuccino.»

«Grazie, ma sai che detesto il latte di soia. Ha un saporaccio.»

Aveva una cotta per la sua collega, niente di eclatante, un amore silenzioso, invisibile agli occhi poco attenti di lei, sempre concentrata su se stessa, sulla sua patetica vita divisa tra la carriera e la famiglia.

Qualche volta si portava dietro i bambini, altre volte il marito.

Era più nervoso quando lo psicologo era nei dintorni, se ne stava in disparte, a osservarli da dietro il bancone. Erano giovani, erano belli, erano felici, erano innamorati. Quand'erano insieme, Julie portava i capelli sciolti, era diversa, più radiosa.  Viveva in funzione del marito, era uno dei motivi per cui l'aveva scelta, per cui li aveva scelti entrambi.

Sarebbe stato così facile ucciderla avvelenandole il cappuccino, un giorno a caso. Sarebbe morta in pochi minuti, di fronte agli occhi sorpresi del suo collega.

Non che non ci avesse mai pensato. Avrebbe avuto il tempo di scappare, mentre la folla si radunava attorno al tavolo di Julie e Matt, ma sarebbero comunque risaliti a lui, di questo ne era sicuro, anche se non gli importava più di tanto.

Prima o poi sarebbe successo comunque, anticipare i tempi non avrebbe cambiato nulla.

Non sarebbe stato abbastanza divertente però, non ora che aveva tutti quei fili in mano, doveva solo essere paziente e tirare quello giusto senza che si accorgessero di nulla.

Finse di pulire il tavolo accanto per ascoltare il resto della conversazione. Non ci fu alcun riferimento alla telefonata del giorno prima, probabilmente lo psicologo non ne aveva fatto parola con nessuno, credendo che si fosse trattato di uno scherzo idiota.

Greg aveva riattaccato subito, c'era da aspettarselo. Forse aveva esagerato prendendo in prestito la fase di Oppenheimer, troppo cinematografica, ma avrebbe rimediato al più presto.


Quando ricevette la seconda telefonata si era completamente scordato della prima. Era passata una settimana, ma riconobbe subito la voce, una voce giovane, quasi allegra, all'apparenza sicura si sé, come se chi parlava per tutta la vita si fosse preparato a quel momento, a quella conversazione.

«Si può sapere chi diavolo sei?» domandò Greg alzandosi in piedi.

«Sai chi sono.» si limitò a rispondere l'altro, «Quando ti ho chiamato la prima volta non eri pronto. Adesso lo sei?»

Non era la prima volta che Greg era vittima di scherzi telefonici di vario genere, alcuni avrebbero detto che, in fondo, se lo meritava, che era il prezzo da pagare per la popolarità, il rovescio della medaglia.

Poteva riattaccare come aveva fatto la prima volta, ma qualcosa glielo impedì. Forse era semplice curiosità, forse qualcos'altro.

«Cosa vuoi da me?»

«Niente di particolare, devi solo continuare a fare il tuo lavoro.» rispose la voce, «Scrivi un altro libro. Su di me. Come hai fatto con Carlos Martinez, una bella intervista, lunga trecentocinquantasei pagine.»

Greg lanciò un'occhiata alla libreria dove il trattato in questione era esposto in bella vista, pensò agli autografi che gli aveva fatto firmare, ai soldi che gli aveva fatto guadagnare, «Carlos Martinez è un assassino.»

«Lo sono anch'io.» replicò l'altro, «Ma tu non ti fidi.»

«No.»

«Vai al 128 di Kennedy Street, terzo piano.» questa volta fu l'altro a riattaccare per primo.

Lo scacchistaWhere stories live. Discover now