105. Camporese 17

2.7K 391 812
                                    

Claudio era l'ultimo della fila.

Sta per arrivare.
Tra un minuto sarà qui.

Faceva freddo, anche nel tunnel. Un refolo di vento si intrufolava dall'apertura dello stadio e si infilava sotto la maglietta. 

La maglietta col suo nome sulla schiena. 

Gli sembrava quasi di sentirlo sulla pelle, quel nome. Marchiato a fuoco.

"Nel cielo biancazzurro brilla una stella..."

L'inno della Lazio.
Se è partita la canzone mo' arrivano.
Mo' arriva.

Durante il riscaldamento in campo, mezz'ora prima, non l'aveva visto. Non aveva mai rivolto lo sguardo nemmeno per un secondo verso la metà campo della Lazio. Ed era riuscito a non vederlo. Ma non poteva più rimandare l'incontro. I giocatori della Lazio e del Felsina stavano per uscire dal tunnel, e una volta fuori avrebbe dovuto stringergli la mano, nel rituale passaggio in cui le due squadre sfilano una davanti all'altra per consentire a tutti i giocatori di salutarsi.

Il tunnel dello Stadio Olimpico era diviso in due longitudinalmente da una paratia che copriva i busti dei giocatori avversari: guardando alla sua sinistra, Claudio vedeva solo una foresta di polpacci, di calzettoni bianchi bordati di azzurro.

Tiziano non era ancora arrivato. Avrebbe riconosciuto le sue gambe tra mille, anche solo dalla caviglia. 

Il cameraman camminava su e giù, lungo la fila di giocatori che saltellavano per scaldarsi. 

Cazzo voi telecamera demmerda? pensò Claudio, notando con la coda dell'occhio di essere inquadrato. 

Cercò di ignorare il cameraman, far finta di niente. Come facevano i giocatori a essere sempre così indifferenti davanti alle telecamere? Era una semplice questione di abitudine? 

"Lazio, sul prato verde vola..."

Uno scalpiccio lontano, alle sue spalle. Si fece a poco a poco più forte. 

"Lazio, tu non sarai mai sola..."

Arrivavano gli ultimi rimasti. Non si voltò. Ma vide con la coda dell'occhio le gambe laziali muoversi, al di là della paratia.

"Vola un'aquila nel cielo..."

Claudio era l'ultimo della fila. Guardò tutte le gambe alla sua sinistra. Le guardò tutte, dalla prima all'ultima. Tutte quelle davanti a sé. Tiziano non c'era. Significava che anche lui era l'ultimo. Era lì accanto. 

Non voleva girare la testa. Non sentiva più niente. Non sentiva l'inno, che ancora risuonava nello stadio, cantato dai tifosi. Non sentiva le frasi di incitamento che i giocatori si stavano lanciando a vicenda, sia quelli della Lazio che del Felsina. 

Non sentiva più niente, solo il proprio respiro strozzato.

Tiziano era lì accanto a lui. A pochi metri, alla sua sinistra, nascosto dal muro.

Claudio cercò disperatamente di respirare. Qualcosa gli ostruiva la gola, forse un bolo di rabbia, forse una voglia disperata di urlare, forse semplicemente di voltarsi.

Era lui. Sentiva la sua presenza. Vedeva la sua ombra a terra, con la coda dell'occhio.

Arrivarono i bambini, una fila, alla loro destra. Una bimba di forse sei anni con indosso la maglietta della Lazio si affiancò a Claudio. Lui la guardò, non vedendola. Lei gli tese la manina, lui la afferrò.

L'arbitro, gli assistenti.

Tiziano alla sua sinistra. 

Claudio accennò un sorriso alla bambina, poi guardò di nuovo davanti a sè.

L'ultimo evocatore - [Desiderio, volume 2]Where stories live. Discover now