BUCHI NELL'ACQUA

230 20 11
                                    

(Mi hai preso tu)

Il mio aereo arrivò a Filadelfia con le luci del giorno dopo. Le audizioni cominciavano al mattino ed era probabile che proseguissero per tutta la giornata, ma io non potevo appoggiarmi sugli allori e smettere di correre proprio in quel momento.

Non conoscevo minimamente Filadelfia. Ero da solo e sarei dovuto salire su un aereo che tornava in Tennessee il prima possibile, perché non avevo i soldi per un albergo: per questo non ebbi pietà. Corsi fuori dall'aeroporto con la custodia della chitarra in una mano e lo zainetto nell'altra per fiondarmi nel primo taxi che trovai. Urlai l'indirizzo della Gibbs Records e mi allacciai la cintura di sicurezza, ma fu soltanto quando il conducente si voltò a guardarmi male che mi accorsi di non essere solo.

C'era un uomo vestito da ufficio sui sedili posteriori con me. Gli avevo buttato la mia chitarra in braccio senza nemmeno accorgermene ed ora lui mi guardava da sotto il manico, perplesso. Divenni rosso di vergogna.

"Mi scusi tanto." dissi. Gli tolsi di dosso la mia roba e feci per uscire subito, ma lui mi frenò per la collottola prima ancora che potessi aprire la portiera.

"Dividiamo la corsa." disse, secco. "Sono già in ritardo e andiamo nella stessa direzione."

"Oh." feci. "Grazie."

Il taxi partì in quarta e io diedi una raddrizzata alla mia camicia. Rimasi in soggezione per qualche minuto mentre ci immettevamo in strada, ma quel giorno non potevo proprio permettermi di fare il timido. Se avevo un po' di tempo per preparare l'audizione dovevo approfittarne.

"Mi scusi..." dissi al conducente per richiamare la sua attenzione. Mi appesi al poggiatesta del sedile di fronte al mio e lui mi lanciò un'occhiata. "Sa dirmi quanto ci vuole per arrivare a destinazione?"

"Quarantacinque minuti."

"Quarantacinque minuti?"

"Se non le va bene posso accostare."

"Nono, è perfetto. Grazie mille. Posso chiederle di sollevare il separé?"

"Le sembra che quest'auto possa avere il separé? Non siamo in una fottuta limousine."

Alzai entrambe le mani, come per provare la mia ignoranza. Capii che era meglio lasciare il conducente in pace e tornai al mio posto, ma mi dovetti fare coraggio per agire: mi levai la camicia del matrimonio come se fosse una maglietta, in un colpo solo.

"Che sta facendo?" chiese l'uomo di fianco a me. La voce gli era diventata più stridula, ma avevo come l'impressione che fosse più naturale rispetto a quella di prima. Mi guardava allibito mentre mi sfilavo scarpe e pantaloni.

"Mi devo assolutamente cambiare d'abito. Ci metto pochissimo, lo giuro."

"Mai visto niente del genere."

"Mi dispiace. Mi dispiace."

Potevo anche darci un taglio con le scuse, perché in quarantacinque minuti di viaggio ne avevo ancora tante di cose da fare in quel taxi.

Dopo essermi cambiato in jeans e maglietta iniziai a provare la mia presentazione. Per almeno un quarto d'ora non feci altro che ripetere mille versioni diverse di: "Piacere, sono Charlie, ho ventitré anni, vengo dal Tennessee."

Poi tirai fuori la chitarra. Provai mille canzoni diverse alla ricerca di quella perfetta per l'audizione e non facevo in tempo a convincermi su una che ne iniziavo un'altra. Ero un juke box vivente e cantai da solo per mezz'ora prima che il mio compagno di taxi non decise che ignorarmi era impossibile.

Chiese in prestito il mio cellulare. Io pensavo che volesse buttarlo fuori dal finestrino o qualcosa del genere, invece lui guardò che musica ascoltavo e cominciò a richiedermi un brano dopo l'altro. Mi correggeva quando non era soddisfatto, teneva il tempo quando andavo bene, esultava se beccavo le note più alte. Per poco non mi abbracciò quando superai un bridge particolarmente difficile, ma poi si ricompose subito e si lisciò la cravatta che aveva al collo. Ma continuò a sorridermi.

THE LOVING ONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora