IL BARBRA'S TALKING SHOW

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(Che stronzate)

Gli inizi della mia carriera furono in discesa una volta presa la rincorsa. A settembre ero arrivato a Filadelfia, a dicembre era uscito il primo singolo coi J-EY, a fine febbraio l'album intero e in men che non si dica fu marzo. Marzo che, come avevamo previsto sulla tabella di marcia, fu il mese più impegnativo in assoluto fra promozioni, apparizioni in televisione, radio. Ogni giorno salivamo tutti insieme in auto senza più ricordarci dove eravamo diretti, ma c'era una data in particolare che io aspettavo con grande ansia.

Il Barbra's Talking Show era la mia conquista più grande fino a quel momento. Maggie aveva strillato quando gli avevo detto al telefono che ne sarei stato ospite e io stesso stentavo a crederci.

Ci esibimmo a inizio puntata. Terminai di cantare con un gran sorriso e Barbra mi arrivò da dietro per mettermi un braccio attorno alle spalle, come se fossimo già pappa e ciccia.

"E questa era la nuova formazione dei J-EY, signore e signori! Con Charlie, la new entry!"

Il pubblico presente in sala applaudì e io accennai un paio di inchini, imbarazzato. Poi il programma mandò in onda la pubblicità ed io e i ragazzi corremmo dietro le quinte a cambiarci. Ci aspettava l'intervista e noi dovevamo mostrarci freschi e riposati, ma soprattutto uniti. Come se io fossi sempre stato presente nelle loro vite.

Simon e Tyler furono i primi a farsi preparare, dopodiché fu il turno mio e di Jeremiah. Le nostre postazioni trucco si davano la schiena e fra di noi c'era un via vai continuo di parrucchiere e truccatrici. Ci asciugavano il sudore dell'esibizione dalla fronte, si affannavano sulle nostre teste, si passavano gli attrezzi del mestiere, ma io e Jeremiah ci vedevamo comunque riflessi nei reciproci specchi. Io all'inizio feci finta di niente, ma poi, come capitava troppo spesso, mi arresi alla mia stessa debolezza e lo guardai.

Lo guardai a lungo, lo guardai senza battere le palpebre. Forse pensavo che non se ne sarebbe accorto, che attraverso lo specchio fosse tutto più confuso o più lecito, ma non era così. Non appena le parrucchiere se ne andarono, alla ricerca di non so quale adattatore di cui non potevano assolutamente fare a meno, lui mi rivolse la parola.

"Perché mi guardi?"

"Scusa." dissi, distogliendo lo sguardo in automatico. La stanza fu all'improvviso troppo vuota.

"Non dico solo adesso. Ti becco spesso a fissarmi e non capisco mai quale sia il tuo problema. Pensavo che il mio odio fosse a senso unico."

Accennai una risata a quella battuta. Da come aveva piegato la voce era ovvio che mi stesse prendendo in giro, ma quando vidi la sua espressione non ci trovai più niente da ridere. Avrei deglutito se lui non lo avesse notato subito.

"Scusami, è una brutta abitudine."

"Non ti ho detto di non farlo più, ti ho chiesto perché lo fai."

"Ti è rimasta un po' d'acqua? Ho la gola asciutta."

"Se ce l'hai con me lo devi dire, Charlie. Vuoi litigare? Litighiamo. Avevo tutte le ragioni per non volerti nel gruppo, non puoi avercela con me per avercela con te."

Non poteva essere più fuoristrada di così. Questa volta mi venne da ridere davvero, ma lui non la prese bene a giudicare da quanto divenne serio.

Per questo parlai. Ancora oggi non riesco a ricordarmi se quello che dissi mi scappò dalla bocca o lo forzai ad uscire io, ma le conseguenze sarebbero state le stesse.

"Penso che tu sia carino."

Jeremiah ne rimase totalmente spiazzato. Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di sentirsi dire al mondo, men che meno in quel momento, men che meno da me. La sorpresa gli ripulì la faccia da ogni espressione.

THE LOVING ONEWhere stories live. Discover now