2. Amore e morte [I]

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La più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste.
[Baudelaire]




Ore composte da angoscia e sogni infranti. Il giorno peggiore della vita di Fleur, solo perché Azael aveva messo piede in una vita che non gli apparteneva più e aveva preteso che tornasse a essere sua.

La zia Marcy credeva che l'idea migliore, vista l'improvvisa visita di suo fratello, fosse quella di trascorrere la serata tutti e tre insieme.

Fleur, tuttavia, non ne aveva nessuna intenzione. Aveva un appuntamento con Freddy e per niente al mondo avrebbe concesso ad Azael di rovinarle un momento idilliaco. Non voleva rimanere incastrata fra quelle mura che all'improvviso si erano fatte claustrofobiche, ostacolandole perfino il respiro.

Ribadì più volte che non era importante averla con loro a cena, ci sarebbero stati tutti i giorni a venire per stare insieme. Impaurita aveva cercato di truccarsi, sbagliando cinque volte l'applicazione del rossetto rosso – non l'aveva scelto per Freddy, lui era abituato anche a vederla struccata. Era un modo per infastidire Azael, per fargli capire che era cresciuta, diventata una donna, e lui non avrebbe più potuto far nulla per impedirle di vivere. 

Era un modo per ferirlo, distruggerlo. 

Alla fine era riuscita a ottenere un buon risultato. 

Respirò lentamente per calmarsi. Non aveva in programma di indossare un vestito per quella sera, in fondo dovevano solo andare al cinema, ma le sembrò l'idea migliore per sottolineare i suoi cambiamenti e per mostrarsi diversa, era trascorso tanto tempo ed era cambiata. Voleva crederci.

Abbandonò la sua cameretta dalle pareti tinte di lavanda e scese le scale fino al piano inferiore.

Azael stava sistemando dei fiori azzurri in un vaso. Era l'incarnazione della normalità e della gentilezza, quando in realtà indossava solo una maschera senza crepe. 

L'aveva guardata e i suoi occhi addosso erano stati ustionanti. Lasciò che si sentisse peccatrice solo osservandola e scavandole fra le costole, armato di pupille affilate come coltelli dalle lame sporche, riportandole a galla barlumi di ricordi da seppellire.

«Sei diventata bellissima», quelle parole erano giunte al suo udito gelide e ferme.

Le iridi di Azael perseverarono insistenti sulle sue gambe scoperte. Anche se la sua gonna non era troppo corta, lui era riuscito a farla sentire nuda. Un albero senza chioma immerso nella fredda neve. L'abito, ricamato con morbidi merletti, la copriva a sufficienza e le fasciava il busto cadendo leggero intorno al suo corpo; non era volgare, non era eccessivo, eppure si era sentita sporca. 

Colpevole. 

Fleur notò come le sue mani si fossero strette più salde contro il vetro del vaso, temette per un istante che potesse fracassarlo solo stringendolo, eppure sul suo viso non era passato alcun fastidio. Anche se nei gesti, quelli mascherati e soppressi sotto gelida apatia, c'erano malcelate emozioni pregne d'insania. Era tutto e niente. Follia e stabilità ipocrita. 

Quella strana sensazione era diventata ancora più insistente quando le aveva fissato le labbra tinte di rosso. Nello sguardo di Azael si abbarbicavano le fiamme degli inferi e il buio delle notti senza stelle.

Fleur rispose con un sorriso finto e, spaventata – ma in grado di mascherarlo, ostentando sicurezza incerta – uscì di casa.


I peccati dei martiriWhere stories live. Discover now