5. Il peccato del sinistro mietitore [I]

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Gli innamorati diventano spesso nervosi, pericolosi. Perdono il senso della realtà. Perdono il senso dell'umorismo. Diventano irritabili, psicotici e noiosi. Ammazzano perfino la gente.
Bukowski




Quel giorno profumava di fiori freschi appena raccolti, di coriandoli esplosi nell'aria in particelle dai mille colori.

Di sangue, il fetore della decomposizione e fiumi bollenti di ossidiana e amaranto.

Azael e Fleur si erano scambiati un bacio, due, tre... e poi avevano perso il conto, ma era stato dolce. Tenero come lo era un tempo, attimi cosparsi di malcelata malizia e grottesche perversioni messe all'angolo, costrette a tacere, perché sarebbe bastato un soffio, lo svolazzare gracchiante di un corvo nell'aria di dicembre, e tutto sarebbe andato in frantumi. Azael lo sapeva e non poteva fingere che le cose fossero diverse.

Quando avevano sentito la zia Marcy rientrare a casa, a tarda notte, Azael si era dileguato dalla sua camera in silenzio senza produrre rumori, in modo da non creare alcun sospetto.

Non sapevano come avrebbe reagito loro zia, se l'avesse saputo, ma era meglio evitare di scoprirlo che tentare di farle capire ciò che nessuno era disposto ad accettare. E cioè che amarsi, anche se si aveva lo stesso sangue, non poteva essere sbagliato. Dio e il mondo avevano fatto un errore, non c'erano altre spiegazioni; qualcosa di così puro, capace di scaldarle il cuore in quel modo, non poteva essere un peccato.

La mattina del giorno seguente Fleur ancora dormiva e si rigirava, efebica e pallida, in lenzuola bianche in disordine e coperte che la scaldavano solo quando lui non poteva stringerla. Quasi una fiaba romantica. Quasi come se Azael fosse il principe azzurro e non Barbablù. Soltanto un sogno, un'utopia.

Azael si era svegliato presto e si era vestito in fretta, subito dopo essersi infilato sotto la doccia per annullare ogni traccia di sonno. In casa c'era solo il silenzio, così era uscito. Nessun piano crudele, nessun trucco sadico – all'apparenza. Voleva comprarle una torta di compleanno, e l'aveva scelta panna e fragola perché sapeva che a Fleur sarebbe piaciuta, avrebbe sorriso nel trovarsi un dolce tutto rosa e zuccheroso davanti. Con gentilezza aveva comprato delle candeline, pagato alla cassa ed era tornato a casa.

Azael sapeva di non farlo per amore.

Era sua sorella, ma non le voleva bene, la odiava, e quando odi qualcuno vuoi distruggerlo... eppure Fleur, il giorno prima, aveva cercato di togliersi la vita e Azael non poteva permettere che accadesse di nuovo. Doveva manipolarla, farla innamorare, farle battere il cuore... e poi lobotomizzarla. Farle perdere ogni parte di sé. Distruggerla, finché di lei non sarebbero rimaste nient'altro che le ossa. E forse nemmeno. Forse avrebbe spezzato anche quelle, riducendole in polvere e schegge sottili. Perché per loro non poteva esserci l'amore, c'era solo il rancore. Non sarebbero mai stati fiori sbocciati in primavera, solo germogli morti per il freddo.




Fleur aprì gli occhi, infastidita dai raggi di sole filtrati oltre le tende scostate. La prima cosa che percepì fu il dolore al braccio, aveva dormito sopra alle ferite e ora pulsavano. Le bende intorno al suo polso erano macchiate di sangue, avrebbe dovuto cambiarle. Strisciò giù dal letto, rinchiudendosi in bagno e disinfettando i tagli ancora gonfi e arrossati. Sembravano grosse larve sottopelle iniettate di sangue. Non si era mai fatta del male, prima. La pelle era rossa e strana, come se non fosse più sua – come se avesse potuto ricominciare a farsi del male perché tanto quel braccio non sarebbe mai più stato lo stesso. Le cicatrici sarebbero rimaste impresse sulla sua pelle per l'eternità, sbiadito ricordo di un attimo in cui aveva desiderato di perdersi per sempre in un limbo nero e vuoto. E non in paradiso, no; perché se era vero che ne esisteva uno, Fleur temeva di non poterci andare. Non voleva finire all'inferno. L'aveva rischiato, però, tentando il suicidio... doveva andare a confessarsi.

I peccati dei martiriWhere stories live. Discover now