6. Quando muore il sole [II]

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Qualcuno potrebbe pensare che lavorando a contatto con le altrui parafilie, la zia Marcy avrebbe accettato e cestinato quella questione.

Invece no.

Azael si era rivestito, Fleur anche.

«E adesso?», chiese lei, terrorizzata e tremolante.

«Non lo so», rispose Azael. «Scendiamo al piano di sotto e vediamo che succede.»

La zia Marcy si era accesa una sigaretta in cucina, anche se fumare in casa era vietato proprio da lei. Agitata, li aveva trafitti con lo sguardo e non era stata in grado di parlarne, non al principio, così aveva cominciato Azael.

«D'accordo, siamo tutti finiti in una situazione imbarazzante.»

«Imbarazzante? Questo è l'ultimo aggettivo che utilizzerei per descriverlo», la sigaretta era talmente serrata fra le sue dita che aveva distorto il filtro. «Io posso accettare tante cose. Posso accettare che vi piaccia il BDSM, posso accettare che abbiate determinate perversioni... ma questo...», l'aveva detto con la voce incrinata dalla rabbia, «Devi andartene, Azael. Non puoi rimanere qui.»

Non aveva nemmeno provato a girarci intorno. Lapidaria, nemmeno li aveva voluti ascoltare. 

Fleur sentì le lacrime inviperirle gli occhi. Era la cosa giusta, eppure faceva male. Era consapevole di quanto fosse sbagliato, si era imposta di far andare la situazione in tutt'altro modo, ma aveva ceduto comunque perché in fondo le piaceva soffrire. Perché il dolore la rendeva viva e spenta. Il dolore le dava la forza di reagire – anche se durava poco, poi soccombeva nell'angoscia. 

Era ingiusto che il suo rapporto con Azael fosse considerato un errore. Se gli altri non l'avessero vista in quel modo le cose sarebbero state diverse, lui non avrebbe finito per diventare un mostro. E invece il mondo continuava a remargli contro, a non volerli insieme.

Quando si separavano tutto sembrava perdere colore e armonia. Tutto sembrava vuoto e fermo e lui la portava in un mondo senza musica. 

«Se Azael va via me ne vado anche io.»

Non seppe nemmeno dove aveva trovato il coraggio di dirlo, eppure quelle parole le scivolarono via dalle labbra. Azael l'aveva guardata con evidente stupore, era rimasto immobile, di fronte a una situazione che non era in grado di gestire – non di nuovo.

Era come un déjà-vu. Era già successo, in passato. Era stato il padre di Fleur a vederli. Però non stavano facendo niente di perverso, come si potrebbe pensare. 

Azael le aveva tagliato i polsi perché voleva donarle il suo sangue, incisioni permanenti sulle sue braccia che bruciavano e sanguinavano. Ferirla per fare in modo che sfiorasse la morte e per regalarle la vita. L'unica volta in cui le aveva fatto male per davvero. Desiderava i fiumi d'amaranto e li aveva ottenuti, però non gli avevano permesso di donarle il suo sangue. Era stata una sconfitta amara. Voleva solo privarla della vita e restituirla, come se davvero potesse giocare con la morte. Un po' come il dottor Frankenstein - e non come la creatura.

Era stato così malsano per i suoi genitori che avevano perso la testa e li avevano divisi. L'uomo che non era suo padre l'aveva picchiato, calci che facevano un male infernale e che l'avevano fatto sentire debole. Era stato riempito di insulti e veleno. 

Avevano capito che non era Fleur ad avere qualcosa che non andasse, ma Azael. Dicevano che era malsano, sbagliato, orrendo. Lo avevano definito un incubo. Le attese in ospedale erano state infernali. Come potevano spiegare ciò che era successo?

Avevano cacciato Azael di casa, che era tornato a vivere con suo padre e non aveva mai più visto sua madre, rinnegato. Diseredato. Non aveva visto nemmeno il suo cadavere nella bara quando era morta. Era stato felice che fossero crepati entrambi – e se non fosse successo probabilmente avrebbe perso il senno e li avrebbe uccisi lui.

I peccati dei martiriWhere stories live. Discover now