6. Quando muore il sole [I]

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"Talvolta, ahimè!, la coscienza dell'uomo sopporta un fardello così pesante di orrore che può essere scaricato solo nella tomba. Così l'essenza di tutti i crimini resta sconosciuta."
E. A. Poe




La morte è solo un istante.

La vita è lunga, spietata, noiosa e triste.

La vita è tristezza, disperazione. La morte è pace. Fine. Vuoto.

Eppure Fleur voleva vivere ancora.

La prospettiva del cambiamento l'aveva sempre scossa, turbata. Fleur non voleva crescere, ogni giorno era un peso in più da portare sulle spalle, e da quando era tornato Azael la situazione sembrava solo peggiorata. Non avrebbe più potuto convivere con quei mostri impressi nella mente. 

Quando Azael scelse di non bruciarla viva, di non darla in pasto al fuoco ustionante, Fleur perse il contatto con la realtà. Avrebbe dovuto gioire, e invece rimase impassibile e si domandò se fosse giusto vivere, lo meritava per davvero?

Era stata in silenzio e aveva acconsentito a tirar fuori tutta quella follia. 

Fleur sapeva che lei e Azael insieme potevano solo mettere a soqquadro il mondo intero, causare disastri e catastrofi rancide. Insieme erano fuochi d'artificio colorati, ma non portavano gioie, solo rumori insistenti e strilli lugubri. 

Non era mai stato amore, era melodia insana. Volevano stare insieme solo per distruggersi a vicenda. Perché in fondo aveva cominciato Fleur, aveva ucciso e non per riavere Azael, ma per dilaniare entrambi. Il dolore rende vivi, e Fleur odiava sentirsi spenta come in quell'istante.

Scappata dalla morte, ma senza adrenalina, niente caos. Solo freddo, ipotermia crescente su ogni parte del corpo, perfino all'interno, fra le costole e i battiti. Colpevole, ma spoglia di sensi di colpa. Per tutto, per ogni errore, per ogni peccato. 

Dio avrebbe potuto fermare tutto, mettere fine a quel dolore, ma era rimasto impassibile, inesistente. Fleur iniziava a non crederci più. Fleur non aveva più voglia d'innamorarsi, né di riscattarsi. Era rimasta immobile, tremolante, finché non si era ritrovata sotto la doccia e si era cacciata via tutta quella maledetta e maleodorante benzina di dosso.

Rannicchiata in un angolo fra il pavimento e le piastrelle pensò che doveva inventarsi un piano.

Chiuse gli occhi, stringendo forte le palpebre, cullata dal suono e dal dolce tocco dell'acqua. 

Non voleva essere lì, a casa sua, un luogo in cui per anni si era sentita al sicuro, e da cui ora sentiva il bisogno di fuggire. Avrebbe potuto scavalcare la finestra e scappare, chiamare la polizia e liberarsi così di Azael, ma non aveva vestiti puliti e non aveva mai scavalcato la finestra, non sapeva come sarebbe atterrata e se fosse plausibile scappare in quel modo. 

Chiuse gli occhi, immaginando di non essere nella doccia, ma nell'acqua di un lago pieno di fiori e ninfee. E ci credette per un attimo, la proiezione di un fotogramma tranquillo era riuscita ad addolcire i suoi muscoli tesi, poi si era accorta che i fiori erano tutti morti e che le ninfee non profumavano, non c'era l'odore dell'acqua e dei boschi rigogliosi e verdeggianti, niente dolci paesaggi bucolici, solo tanfo di putrefazione e angoscia. 

Non era più come stare immersi nell'acqua gelida, era come soffocare sottoterra, fra l'opprimente buio, granelli sabbiosi che graffiano e vermi viscidi. Dita che scavavano per risalire dal nulla. 

Fleur si precipitò fuori dalla doccia, anelando aria. 

Doveva ucciderlo, ne andava della sua sanità mentale, della sua vita stessa. Non sarebbe più stata come la voleva Azael. Niente più pressioni e soffocamento, basta ai tentativi di danneggiare la sua mente distrutta. Doveva cambiare e pensare a se stessa e a nessun altro. Diventare l'unica priorità. Essere egoista perché non esistevano altre soluzioni per uscirne indenne. E anche in quel caso ne sarebbe uscita annegando nel dolore, perché era inevitabile. Distruggersi era l'unico modo per sopravvivere.

I peccati dei martiriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora